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Intervista di Awni al Kalemji al Manifesto 08/10/2005

14. October 2005

“In Mesopotamia una resistenza popolare”

ITALIA
“In Mesopotamia una resistenza popolare”
Parla Awni al Kalemji rappresentante dell’Alleanza patriottica irachena
MARINELLA CORREGGIA
Awni Al Kalemji, portavoce dell’Unione patriottica irachena, di orientamento laico e richiamantesi al panarabismo, ਠda tempo esule in Danimarca e quindi non ha bisogno di visto per venire in Italia. Cosଠsolo lui, fra i sei rappresentanti dell’opposizione irachena ha potuto partecipare all’iniziativa-manifestazione del 2 ottobre scorso a Roma “Con la resistenza per una pace giusta nel rispetto della sovranità  nazionale”. Agli altri oratori il visto italiano ਠstato negato su pressione di diversi congressisti americani. Anche Haji Ali, l’uomo simbolo delle torture di Abu Ghraib, ਠstato presente solo sui grandi poster, dopo un visto tatticamente negato all’ultimo momento utile

In Iraq c’ਠuna resistenza politica, come quella delle organizzazioni che erano state invitate qui. C’ਠuna resistenza civile di buona parte della popolazione. C’ਠuna resistenza armata che si indirizza contro gli eserciti stranieri presenti. Poi ci sono le stragi di civili…

La resistenza armata irachena, lo ribadiamo in ogni occasione, non attacca i civili, le moschee, i luoghi non militari. Sono altri a comandare e far eseguire queste stragi; sono i mercenari statunitensi, più di 20mila presenze, ਠil Mossad israeliano, altri servizi segreti…

E gli elementi di al Qaeda?

Non nego che ci siano elementi stranieri appartenenti ad al Qaeda; ma noi non possiamo farci nulla, e non siamo stati noi ad aprire le frontiere. La resistenza irachena ਠaperta a chi vuole venire a combattere (visto che si tratta di una lotta non solo per l’Iraq ma contro l’imperialismo), perಠchi colpisce i civili sta da un’altra parte.

Questa ਠla posizione di tutta l’opposizione irachena. Eppure, in Italia e in altri paesi, alcuni gruppi sembrano sostenere che ogni mezzo sia legittimo, anche le stragi, tanto la colpa ਠdegli americani che hanno invaso il paese…

Ognuno puಠdire ciಠche vuole; noi rigettiamo l’assassinio di civili. Non bastano le stragi e le sofferenze immani causate al popolo iracheno dall’esercito americano?

Quali tempi prevede per la partenza dell’esercito Usa, e ci sono negoziati in tal senso?

I media dicono che Bush avrà  pressioni sempre maggiori e che si sta programmando il ritiro dal paese. Ma non credo che gli Usa si ritireranno da soli; lo faranno quando saranno sconfitti. Non ਠuna cosa di domani, anche se lo spereremmo tutti. E no, non ci sarà  tregua nà© trattativa con loro prima del ritiro delle truppe.

Cosa succederà  dell’accordo fra le diverse componenti della resistenza irachena una volta sconfitti o partiti gli Usa? Prevarranno le forze religiose oltranziste?

Penso che queste abbiano meno chances di vincere in Iraq che in molti altri paesi; siamo un paese maturo, con una storia laica e di antica aggregazione. Ma certo se tramite successive elezioni il popolo sovrano in un Iraq libero dovesse scegliere quelle forze, ne prenderemo atto. E a quel punto lotteremo democraticamente per smascherare l’ideologia religiosa e subalterna.

Cosa chiedono le forze politiche irachene di opposizione e resistenza ai movimenti e ai governi occidentali?

Che non si confonda la resistenza irachena con il terrorismo e la si riconosca come movimento popolare; visto che ਠormai chiaro che non si tratta di rimasugli del vecchio regime, nà© solo di certe componenti etniche, anche se in certi punti del paese ਠpiù strutturata. E chiediamo che non si partecipi ai crimini dell’occupante. Lo dico sempre in Danimarca, che ha truppe in Iraq, e lo dico qui in Italia: obiettivo della resistenza sono anche i militari alleati degli Usa. E non vedo quale possa essere l’interesse italiano, ad appoggiare le mire di Bush e di Israele.

Cos’ਠsuccesso a Jabar Al Qubaisi, leader dell’Iraqi Patriotic Union?

Diciamo che condivide la sorte di 200mila prigionieri politici iracheni in 200 carceri…E’ stato arrestato nel settembre 2004 con un’operazione militare a largo raggio, perchà© lavorava per unificare le forze della resistenza. Otto mesi fa tramite la Croce Rossa ha potuto mandare una lettera alla famiglia. E’ vivo ma il suo destino ਠincerto.

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