di Gareth Porter *
Articolo originale in Asia Times Online, 3 aprile 2009
Barak Obama ha appena visitato l’Iraq dove ha ostentato il consueto ottimismo affermando: «È arrivata l’ora della transizione per gli iracheni» «È importante per gli Stati Uniti dare sostegno ai dirigenti iracheni perché trovino una soluzione a questioni quali la condivisione del potere fra sciiti e sunniti o la ridistribuzione dei ricavi delle risorse petrolifere». Il presidente ostenta ottimismo, riservando invece manifeste preoccupazioni per l’Afghanistan e il Pakistan.
Eppure anche in Iraq non è tutto oro quello che luce. Avevamo già visto come il SOFA, cioè l’accordo che pianifica il ritiro delle truppe USA entro il 2011, non registrò affatto l’ampio consenso parlamentare e popolare auspicato e come le recenti elezioni amministrative – da cui sono state significativamente escluse le province del nord amministrate dai partiti Kurdi – avessero evidenziato una situazione di apparente stallo. Ma c’è di più: anche il patto fra forze di occupazione, governo iracheno e alcuni settori della Resistenza vacilla, come documenta questo interessante articolo che riprendiamo da Asia Time Online.
Iraq, gli Stati Uniti affondano sempre più nella lotta tra sunniti e sciiti
di Gareth Porter *
Articolo originale in Asia Times Online, 3 aprile 2009
Quando i soldati statunitensi e gli elicotteri Apache si sono uniti alle forze irachene per reprimere una sollevazione da parte dei ‘Figli dell’Iraq’ sunniti nel centro di Baghdad lo scorso fine settimana (domenica 27 marzo, n.d.t.), ciò ha rappresentato un’anticipazione del tipo di conflitto che le forze armate statunitensi si troveranno probabilmente sempre più davanti nei prossimi tre anni, a meno che a Washington non sia assunta una decisione politica che cerchi di evitare tale situazione.
Anche se l’arresto di un leader sunnita del "Consiglio del risveglio" e di sette dei suoi vice, che ha scatenato la rivolta, è stato fatto passare sia dal Primo Ministro Nuri al-Maliki che dal comando statunitense come un’operazione antiterrorismo piuttosto che di repressione confessionale, si è trattato in effetti di una fase della lotta per il potere, di lungo periodo, tra il governo iracheno dominato dagli sciiti e i sunniti, che sono stati politicamente emarginati.
La battaglia di Fadhil di domenica scorsa ha costituito un’avvisaglia del fatto che il comando USA è stato trascinato nella campagna di Maliki per eliminare alcuni comandanti dei gruppi che garantivano la sicurezza del quartiere sunnita, gruppi composti da ex-insorti. L’arresto di un popolare comandante sunnita potrebbe aver scatenato un processo in cui una larga parte del movimento sunnita dei "Consigli del risveglio", che dovrebbe essere a libro paga del governo, è tornata a combattere tra le fila della rivolta clandestina.
Con la sollevazione di Fadhil per la prima volta unità dei "Consigli del risveglio" hanno reagito con la forza alla campagna repressiva del governo rivolta specificatamente contro alcuni leader della milizia sunnita, campagna avviata già nella primavera del 2008.
Nonostante gli sforzi che gli Stati Uniti starebbero facendo per rassicurare i sunniti che non li si sta abbandonando alla repressione del governo sciita, l’operazione svolta con l’appoggio statunitense contro i miliziani sunniti che protestavano perl’arresto di Adel al-Mashadani nel quartiere di Fadhil ha già fatto sì che alcuni comandanti delle milizie sunnite di altri quartieri hanno minacciato di tornare alla resistenza armata.
Alcuni esperti di questioni militari irachene dicono che, visto come gli Stati Uniti definiscono attualmente la loro missione in Iraq, è probabile che le forze statunitensi siano coinvolte direttamente in altre operazioni di questo tipo contro i miliziani sunniti.
I "Consigli del risveglio", o Sahwa, che i funzionari delle forze armate statunitensi chiamano generalmente ‘Figli dell’Iraq’, sono stati creati nel 2007 tramite accordi raggiunti dalle Forze Multinazionali in Iraq con i capi tribali sunniti e alcuni comandanti dei gruppi della resistenza armata, in base ai quali ex-insorti sunniti sono diventati membri pagati delle forze di sicurezza locali nei quartieri di Baghdad, così come nella vicina provincia di Diyala e nella provincia a maggioranza sunnita di al Anbar.
Tuttavia Maliki non ha mai nascosto la sua ostilità nei confronti del progetto americano di creare unità sunnite di sicurezza di quartiere. “Queste persone sono come un cancro, e dobbiamo eliminarle”; così avrebbe detto l’estate scorsa un generale iracheno citato da Shawn Brimley e Colin Kahl, del Center for New American Security.
Le unità dell’esercito iracheno e le forze speciali controllate direttamente da Maliki hanno iniziato ad arrestare i leader dei ‘Figli dell’Iraq’ a Diyala e a Baghdad, e gli arresti sono continuati per tutto l’autunno.
Nonostante fosse manifesta l’intenzione di al Maliki di distruggerli, lo scorso ottobre gli Stati Uniti hanno accettato di trasferire il controllo di tutti i 90mila membri dei "Consigli del Risveglio" agli iracheni. Il governo ha concordato, a sua volta, di continuare a pagare le forze di sicurezza di quartiere sunnite 300 dollari al mese.
Tuttavia, i versamenti sono stati interrotti più di un mese fa – uno sviluppo che i funzionari Usa hanno attribuito a un piccolo inconveniente burocratico piuttosto che a una politica deliberata.
John McCreary, un analista dell’intelligence in pensione esperto di Medio Oriente, ha detto in un’intervista che l’arresto e la successiva battaglia di Fadhil “è solo il primo round” di una nuova fase della campagna di Maliki finalizzata ad eliminare i "Consigli del risveglio", ritenuti una potenziale minaccia al suo regime, prima che le truppe statunitensi completino il loro ritiro nel 2011.
“Deve neutralizzare i suoi nemici finché ci sono ancora gli americani che lo aiutano a mantenere il potere”, dice McCreary.
Maliki ha intelligentemente sfruttato la partnership tra le forze armate Usa e l’esercito iracheno per coinvolgere gli Stati Uniti in questa campagna. Una delle caratteristiche di tale relazione sta nel fatto che il comando militare statunitense è molto riluttante a essere separato operativamente o politicamente dalle sue controparti irachene.
Benché il comando USA sia insoddisfatto della politica di Maliki verso i "Consigli del risveglio", esso non si è opposto all’arresto e alla detenzione di Mashadani, apparentemente perché il governo ha insistito sul punto che a essere presi di mira non sono stati i "Consigli del risveglio" come tali, ma solo un singolo individuo che aveva commesso dei reati.
Questa tattica era stata usata dal comando statunitense e da Maliki per colpire i comandanti dell’Esercito del Mahdi a Sadr City e in altre zone nel 2007-2008.
Il portavoce delle forze armate USA Bill Buckner ha motivato la detenzione di Mashadani menzionando un mandato d’arresto del dicembre 2008 che elencava sette presunti reati, fra i quali estorsione, bombe collocate sul ciglio della strada il cui obiettivo erano le forze irachene, e legami con al-Qaeda.
Ma la ragione reale dell’arresto di Mashadani apparentemente sta nel fatto che egli ha sposato apertamente l’ideologia ba’athista. Un portavoce di Maliki ha accusato alcuni leader dei "Consigli del risveglio" di Fadhil di aver formato una cellula segreta per appoggiare il partito Ba’ath. In realtà, questo non è illegale in base all’attuale legge irachena, tuttavia, secondo il quotidiano Azzaman, il partito di Maliki, al Da’wa, ha chiesto di criminalizzare il partito Ba’ath, che un tempo aveva decretato l’appartenenza ad al Da’wa punibile con la pena di morte.
A sottolineare ancora di più la natura confessionale della più ampia repressione dei comandanti sunniti in corso di svolgimento, il 24 marzo i soldati iracheni avevano catturato senza dare troppo nell’occhio Raad Ali, un comandante sunnita nel quartiere di Ghazaliya, nella parte ovest di Baghdad, come riportato lunedì da Ned Parker e Qasar Ahmed del Los Angeles Times. Contrariamente a Mashadani, apertamente ba’athista, Ali non aveva mai espresso fedeltà al Ba’ath e aveva sottolineato la sua rinuncia all’insurrezione.
McCreary ha detto di non vedere nessuna prova del fatto che gli Stati Uniti stiano “sostenendo una epurazione” delle milizie sunnite, ma, ha aggiunto, “sono costretti a lavorare con l’uomo che abbiamo aiutato ad arrivare al potere”. La volontà di sostenere Maliki, perfino quando le sue politiche sono considerate ostinatamente sbagliate, è in funzione del desiderio di “lasciarci dietro un governo il più possibile stabile”, dice l’esperto.
L’ex analista della Defense Intelligence Agency crede che la necessità di sostenere il governo dominato dagli sciiti durante l’ultima fase della presenza militare Usa significhi che non è più possibile che gli Stati Uniti rimangano neutrali nella lotta confessionale per il potere. “Non siamo più in condizioni di tenere il piede in due staffe”, ha detto. “Non possiamo appoggiare sia i sunniti che gli sciiti”.
Secondo McCreary, questa realtà influirà sul tipo di combattimento in cui saranno coinvolte le forze armate americane. “Si troveranno a collaborare nel pianificare e sostenere operazioni che potrebbero trovare disgustose” dice. “Funziona così”.
Stephen Negus, che è stato corrispondente in Iraq per il Financial Times dal 2004 al 2007, e che ora è un visiting scholar al Woodrow Wilson Center di Washington, afferma che le unità delle forze armate USA in Iraq dovranno appoggiare le unità irachene alle quali sono collegate, in qualsiasi battaglia, a prescindere da come possa essere iniziata. “Se hai un alleato a cui sparano, devi rispondere” dice Negus.
Salvo che l’amministrazione Obama adotti una politica esplicita che tenga le truppe USA fuori della lotta confessionale per il potere, i soldati parteciperanno a molti altri combattimenti contro i sunniti, ai quali Maliki ha lasciato scarse opzioni, se non quella di resistere.
* Gareth Porter è uno storico e giornalista investigativo specializzato in politiche della sicurezza nazionale statunitense. L’edizione economica del suo ultimo libro, Perils of Dominance: Imbalance of Power and the Road to War in Vietnam, è stata pubblicata nel 2006.
Tradotto in italiano dalla Redazione.