Pubblichiamo qui sotto il documento di tre compagni nuoresi, in prigione dall’aprile 2006, con l’accusa di avere compiuto un attentato alla sede di Alleanza Nazionale di Nuoro.
Ricordiamo che nel luglio successivo la repressione si abbatte’ poi duramente contro i sassaresi del movimento “a Manca pro s’indipendentzia”
A loro e a tutti i prigionieri politici sardi va la nostra piena solidarieta’.
Campo Antimperialista
Intervento dei prigionieri comunisti Antonella, Ivano e Pauleddu
Dopo quasi un anno di detenzione preventiva- iniziata il 30
marzo del 2006- e dopo tutto quello che ਠstato detto e
scritto sul nostro conto, ora vogliamo parlare noi riguardo le
motivazioni che hanno portato alla nostra prigionia e le
difficoltà più disparate che siamo costretti a subire
quotidianamente. Useremo il plurale per descrivere queste
vicende perchà© le angherie che subisce uno le sentiamo come
una ferita inferta a tutti. Siamo rinchiusi in carceri
considerati tra i più duri d’Italia (Antonella a Santa Maria
Capua Vetere, Ivano a Palermo-Ucciardone, Pauleddu a Palmi) in
regime di E.I.V. (Elevato Indice di Vigilanza) che, visto il
particolare trattamento che ci riservano e la quasi
impossibilità di fare i regolari colloqui, possiamo
considerare un 41bis mascherato (con il dovuto rispetto per
tutti i prigionieri che subiscono questo infame trattamento).
àˆ assai evidente, che le motivazioni della nostra
deportazione, non sono dovute agli ormai frequenti e banali
motivi di sicurezza con i quali lo Stato giustifica la
reclusione, in posti tanto distanti dalla terra d’origine,di
quegli uomini e donne che hanno la sfortuna di cadere nelle
sue mani. In realtà , la vera ragione, ਠquella di torturare
senza lasciare segni evidenti, nel vano tentativo di
spersonalizzare, e quindi abbattere, chi non si piega di
fronte allo schifo che la loro democrazia ci impone. Il dolore
provocato non ਠsolo quello di essere allontanati dalle
proprie famiglie, le quali subiscono a loro volta una pena
supplementare, essendo tutti di casta proletaria, con problemi
di salute e pertanto impossibilitati ad affrontare lunghi
viaggi con relativo dispendio economico; ma anche quello di
essere sradicati dalla propria terra e cultura e catapultati
in realtà completamente diverse, con mentalità e codici che
non ci appartengono, costringendoci a rapportarci con persone
che dei nostri principi e ideali non hanno quasi mai sentito
parlare, e comunque estranei al nostro modo di confrontarci.
Anche questo, naturalmente, non ਠun caso: il non potersi
confrontare, il farti vivere in mezzo a uomini e donne che ti
considerano uno “sbagliato” perchà© odi un sistema dove i soldi
e il potere sono le regole di vita, ਠil metodo che lo Stato
utilizza per isolarti e atrofizzare la tua lotta, il tuo
orgoglio, il tuo pensiero. Senza contare che questa lontananza
non consente neanche la preparazione di una linea difensiva
appropriata, non potendo quasi mai incontrare i nostri legali.
Queste difficoltà non possono certo essere compensate con la
corrispondenza (riguardo questo ringraziamo tutti quei
compagni amici e conoscenti di tutta italia, i quali non hanno
mai fatto mancare la loro solidarietà e vicinanza), che tra
l’altro fino a poco tempo fa era sottoposta a censura, con
conseguenti ritardi e sparizioni misteriose. Il rischio di
perdere se stessi ਠmolto alto, bisogna continuamente far
ricorso ai ricordi ed alla “vita precedente” per non perdere
la propria identità .Ci troviamo rinchiusi in carceri dove in
alcuni casi non erano mai stati “ospitati” prigionieri
politici, tanto meno Sardi. Ancora adesso qualcuno di noi, con
il regime E.I.V., si trova a condividere questa situazione con
detenuti A.S. (Alta Sorveglianza), con ulteriori difficoltà .
Ma le strutture carcerarie stesse sono degradanti, con le
finestre a bocca di lupo, i cubicoli con spazi ridottissimi,
prive di ogni tipo di riscaldamento. L’assenza totale di una
reale socialità con gli altri prigionieri, la mancanza di una
qualsivoglia struttura sportiva (nelle due ore settimanali
concesse si va in salette sprovviste di attrezzature), il
numero limitato di libri e riviste (massimo tre alla volta),
la doccia (tre volte la settimana!) che il più delle volte
l’acqua calda non arriva. Vitto carente e da far schifo e
sopravitto limitato a pochissimi generi alimentari. Nelle
sezioni si trovano massimo dieci detenuti, per giunta
suddivisi in due gruppi per svolgere qualsiasi tipo di
“attività “. Inoltre, i Direttori del carcere possono, a loro
piacimento, modificare il già restrittivo ordinamento
penitenziario, escludendo, dall’elenco degli oggetti da poter
tenere in cella, quelle piccole cose che diventano
importantissime nel niente che siamo obbligati a vivere. Cosà¬
non ਠconsentito ricevere pacchi-cibo da casa e le poche volte
che ai nostri parenti ਠstato possibile venirci a trovare non
gli ਠstato consentito di far entrare buona parte degli
alimenti che in tutte le altre carceri non sono proibiti. La
conseguenza di queste deficienze à¨, di riflesso, un isolamento
della persona. La mente deve impegnarsi per sopperire alla
mancanza di tutto, cercare di tenerla ancorata alle nostre
priorità naturali, nel tentativo di non perdere i nostri
sentimenti, i nostri familiari, compagni, amici. Non perdere
soprattutto la voglia di lottare! Ad evidenziare la nostra
“differenza” dagli altri detenuti ci pensano, non per ultimo,
le guardie. Ogni gesto che viene fatto nei confronti dei
nostri corpi e delle nostre menti ਠfinalizzato a renderci
“diversi” agli occhi degli altri detenuti. Veniamo perquisiti
ogni qualvolta usciamo ed entriamo nelle “nostre” celle, i
ritmi cadenzati degli orari per la battitura delle sbarre (la
mattina presto verso le 6,30/7,00 e il pomeriggio) in orari
appositi, affinchà© non sia possibile poter rimanere a letto
neanche in quei giorni in cui la febbre o malanni vari non
concedono nessun movimento. Un altro vile sistema per cercare
di annientare la nostra resistenza ਠquello di negarci le
necessarie cure sanitarie ( a tal proposito, ad uno di noi,
che ha subito vari interventi chirurgici per una grave
malattia, non viene permesso, dal giorno dell’arresto, di
poter essere accompagnato in un centro clinico idoneo per
sottoporsi alla visita di controllo di cui necessita ).
Preferiamo poi non scendere nei particolari delle proposte
infami fatteci da “misteriosi personaggi” e dei vani tentativi
di metterci gli uni contro gli altri con il “solito trucco”:
ovvero, che qualcuno di noi stesse “collaborando”….
Ma collaborando su cosa…? Su qualcosa di cui solo “loro”
conoscono l’esistenza…?
A parte il peso delle loro mani sempre addosso, quello che fa
male all’animo e infastidisce veramente ਠl’umiliazione di
dover subire questi soprusi da delle…… nullità !
E con i mesi che passano, anche il sopportare questa
differenziazione da persone che vivono insieme a noi queste
situazioni, ma dalle quali comunque ci allontanano troppe
cose, inizia a diventare pesante, portandoci ad avere reazioni
di auto-emarginazione, non trovando più neanche quegli stimoli
elementari che ci permettano una comunicazione “intelligente”
con chi abbiamo accanto. Non a caso l’arma che lo Stato
utilizza per spegnere le nostre menti e ridurre ad un sussurro
le nostre parole ਠsempre la stessa, subdola e vigliacca: il
tempo passato a vivere non-realtà , nel tentativo di farci
rinnegare quelle che per noi sono strade indelebilmente
segnate nei nostri percorsi. I castelli costruiti sulla base
del niente per incatenare chi orgogliosamente lotta per un
“sogno”, sono sufficienti a tenerci in gabbia per lungo tempo.
àˆ dalle piccole cose che troviamo la forza di reagire e
continuare a lottare, piccole cose in sਠma grandi per noi,
come l’affetto e la solidarietà che sentiamo arrivare
dall’esterno di questa esistenza fatta di sbarre e cemento. àˆ,
inoltre, anche questo che ci spinge ad andare avanti a testa
alta: la consapevolezza che dietro le sbarre siamo molto più
liberi dei “portachiave in grigio”, la consapevolezza che à¨
meglio stare dentro con la nostra coscienza che fuori con la
loro!
Il fatto che, dopo tanti mesi, i giudici non abbiano ancora
fissato la data per l’udienza dal GUP ਠdovuto alla pochezza
delle motivazioni che hanno portato al nostro arresto. Siamo
stati accusati di essere gli ideatori e gli esecutori
materiali di un attentato alla sede provinciale di Alleanza
Nazionale a Nuoro. Le “prove” sono tutte incentrate su
intercettazioni effettuate mediante GPS, e relativa microspia,
piazzati all’interno della macchina di uno di noi. Questa
macchina avrebbe funzionato, secondo gli…”inquirenti”, da vero
e proprio “covo”, visto che tutte le discussioni sulla
presunta pianificazione dell’attentato sarebbero avvenute
all’interno della stessa. Con la stessa si sarebbe poi andati
a posizionare materialmente l’ordigno…. Ma dalle
intercettazioni non si rileva nessuna discussione che faccia
riferimento a quanto asseriscono i “pinotti”. Questi ultimi si
“scordano”, poi, di far presente che quella vettura veniva
sottoposta a minuziosi controlli e perquisizioni per
tre/quattro volte alla settimana, alla ricerca di armi,
esplosivi e “materiale eversivo” (perquisizioni che hanno
sempre dato esito negativo ). àˆ quindi improbabile che sia
stata utilizzata per commettere un atto delicato e rischioso
come quello addebitatoci, a meno che non si vogliano mettere
in discussione le nostre capacità mentali!
Ma dai verbali delle indagini da “loro” svolte, risulta pure
che qualcuno di noi era “sotto osservazione” già dal 2001, e
qualche volta era stato indagato per “legami con gruppi
eversivi” – e poi prosciolto – senza che gli sia mai stato
notificato alcunchà©!
La verità sta nel fatto che gli “investigatori” dovevano
portare risultati e motivazioni per giustificare lo sperpero
di miliardi di lire ( o milioni di euro, se preferite), spesi
per pedinare e “intercettare” decine di persone in base al
famoso, e molto fumoso, “teorema-Pisanu” (che sarebbe meglio
definire meteora-Pisanu…!!!). Secondo il “nostro (purtroppo)
conterraneo”, che in quei tempi era ancora ministro degli
interni, la Sardegna era diventata una sorta di laboratorio
dove si cercava di unire, sotto la stessa bandiera di lotta,
Marxisti-Leninisti, Indipendentisti e Anarchici per dare vita
ad una organizzazione sovversiva. Nei suoi cinque lunghi anni
di mandato come ministro, tutte le indagini da lui
“sentitamente” seguite non hanno mai avuto alcun riscontro.
Ma, guarda caso, proprio alla vigilia delle elezioni del 2006,
gli “sforzi” delle “forze dell’ordine” danno finalmente i
frutti sperati: vengono arrestati tre pericolosi terroristi (i
sottoscritti)! Un’altra strana “coincidenza” ਠche, riguarda
caso, il “nostro” ministro proprio in quei giorni si trovava
in Sardegna, per la sua tournee di campagna elettorale. Che
tempismo!!!!
Questa “grande operazione antiterrorismo” ਠstata poi,
naturalmente, il suo cavallo di battaglia: confermava “tutte
le paure (sue!) di un insorgere delle nuove leve del
terrorismo”. L’ultima coincidenza, ma anche la più
strabiliante, ਠche pochi giorni dopo i nostri arresti
sarebbero terminati i tempi limite di questa indagine con i
relativi finanziamenti!
Ma, tralasciando queste “piccole casualità “, come dicevamo
prima tutte le “prove inconfutabili” che hanno portato al
nostro arresto trovano evidentemente difficoltà ad essere
portate davanti ad un tribunale per essere confermate e
discusse (…anche se la nostra fiducia nei confronti di questi
tribunali e giudici ਠpari a zero visto il loro ruolo
all’interno delle istituzioni borghesi – ne abbiamo un palese
esempio dalle condanne emesse a Milano per i “fatti di
marzo…). Cosଠcome si sta rivelando, in eguale misura, una
grossa buffonata un’altra inchiesta, cosiddetta Arcadia, che a
Luglio ha portato all’arresto di una decina di compagni di “A
Manca Pro s’Indipendentzia” – ai quali va il nostro più
caloroso e solidale saluto – la cui unica colpa ਠquella di
aver dato vita ad una organizzazione politica, presentata
anche ufficialmente, in cui si riconoscono tanti giovani
proletari delusi da altre realtà “indipendentiste”
istituzionalizzate. Anche se, per vari motivi politici, noi
tre non abbiamo mai aderito a questa organizzazione, non
possiamo non riconoscergli l’impegno, la serietà e gli sforzi,
fatti per portare avanti le loro lotte e ideologie. Le nostre
differenze non hanno comunque impedito di ritrovarci tutti
insieme a manifestare per quelle problematiche che sono di
tutto il popolo sardo, e del proletariato in generale, quali
disoccupazione, basi militari, situazioni detentive del
proletariato prigioniero, e tante altre. Noi tre abbiamo
sempre partecipato a tuitolo individuale, non essendo aderenti
a nessun partito o associazione di alcun tipo, ed anche se
potrà arrivarci qualche critica, siamo comunisti che
preferiscono muoversi senza i vincoli che il “gruppo”
comporta. Le nostre singole esperienze non hanno comunque
compromesso o limitato la nostra voglia di partecipare alle
lotte, combattere e criticare la “nuova” organizzazione della
società capitalista e la sua brutale retorica, che porta gli
esseri umani ad un nuovo scontro di civiltà nel cuore di una
società opulenta, dove il diverso, il vicino, il simile e il
nemico si toccano, contendendosi uno spazio senza qualità , un
tempo senza spessore, un agire senza significato. Società
nella quale, intorno ai templi del consumismo, si conforma un
“nuovo” fascismo, molto più insidioso in quanto più afasico,
persuasivo e subliminale. Dove un nazionalismo xenofobo e
violento verso i più deboli, dal nulla del consumo cerca di
generare una “patria” e una senso di “appartenenza”. La
futilità , l’opulenza, il pacifico conformismo, la mentalità
infantile, sono divinità che troneggiano al centro della
società del consumo. Esse, grazie alla loro rassicurante
mediocrità , avrebbero dovuto “proteggerci”, secondo i
propositi dei padroni, dai grandi conflitti e dalle “tragiche
passioni” del Novecento, diventando il fondamento della
gerarchia e il dispositivo del dominio. Il fascismo post
moderno si annida nelle innocue consuetudini del presente, nei
suoi bisogni, reali o indotti, di sicurezza, in un tempo di
vita interamente colonizzato dai profitti. Ma sembra quasi che
il fascismo post moderno non voglia la conquista del potere
politico, solo creare le condizioni affinchਠil potere
politico realizzi un “programma minimo”: l’instaurazione di
una democrazia plebiscitaria in cui la tolleranza repressiva
sia il contraltare di una feroce gerarchia sociale. Basti
pensare a come le strategie di sicurezza sono organizzate oggi
rispetto alla criminalità : uno specchio che deforma fino al
grottesco, che astrae artificialmente i comportamenti
delinquenti dal tessuto dei rapporti sociali nei quali essi
acquistano senso. Dall’incarcerazione di massa alla
telesorveglianza, dalla criminalizzazione e segregazione del
“diverso” alla proliferazione dei reati di sospetto e
d’opinione, i confini dello Stato poliziesco si estendono
sempre di più. Non a caso le carceri sono da sempre luoghi di
interruzione del dialogo, in cui il silenzio e l’esclusione
dallo sguardo altrui rivelano gli aspetti più nascosti della
asimmetria del potere. E quanto più il potere agisce
nell’ombra, tanto più esige dal singolo la trasparenza
dell’uomo di vetro, giustificando ogni espropriazione della
dignità , della privacy e della libertà in nome delle supreme
esigenze di sicurezza della società . Cosଠil carcere torna ad
essere oggi lo spazio simbolico di politiche dei esclusione e
controllo degli “esclusi sociali”, che la dinamica
neoliberista rilega ai margini della società . Vittime di
logiche repressive che fanno di chi non ਠconforme a questa
“libertà ” un nemico da punire con l’arma della pena. La
pretesa di risolvere con la prigionia problemi e comportamenti
che nascono dalla crisi dello Stato sociale e dalle
disuguaglianze strutturali del sistema neoliberista, serve da
tecnica per rendere invisibili i reali problemi sociali. La
prigione diventa una sorta di “pattumiera” giudiziaria dove
gettare i “rifiuti” umani della società di mercato non
soggiogati al “loro” credo. Anche noi tre – come tanti altri
compagni – ci troviamo a subire le “loro” soluzioni, fatte di
galere e repressione per il “reato” di non avere abbassato o
chiuso gli occhi davanti a questi orrori, condividendo con
tanti altri momenti di lotta, per non essere risucchiati nel
torpore della rassegnazione. Possiamo concludere affermando
che, se essere comunisti ਠun reato, noi ci consideriamo
colpevoli!
Siamo ancora convinti che l’utopia ਠuna cultura che
arricchisce chi sa coltivarla e praticarla, ed ਠuna forte
speranza per la quale vale la pena battersi.
Vogliamo infine ricordare quello che diceva il NOSTRO
CONTERRANEO Antonio Gramsci, che di sicuro sarà ancora
ricordato a lungo per quello che proponeva con i suoi grandi
ideali, a differenza del piccolo “teoreta” Pisanu, del quale
rimarrà ben poco….
“Vivere vuol dire essere partigiani. Indifferenza à¨
parassitismo, ਠvigliaccheria, non ਠvita. Vivo, sono
partigiano. Perciಠodio chi non parteggia, odio gli
indifferenti.”
A pugno chiuso e sempre in alto. Antonella, Ivano, Pauleddu.