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Notiziario del 23 giugno 2007

23. June 2007

Questo Notiziario contiene:

1. M’HAMAS O NON M’HAMAS
La vera posta in palio in Palestina e la trappola ideologica fondamentalismo-laicismo
2. DOPO IL 9 GIUGNO
Prime riflessioni sugli scenari aperti dalla manifestazione del 9 giugno

1. M’HAMAS O NON M’HAMAS
La vera posta in palio in Palestina e la trappola ideologica fondamentalismo-laicismo

Lo scontro frontale scoppiato tra le milizie di Hamas e quella di Fatah rattrista tanti amici della causa palestinese. Il mito di un popolo unito malgrado tutto si ਠdissolto per sempre. Ciಠavrà  conseguenze assai durature, non solo riguardo alle prospettive della lotta di liberazione palestinese, ma anche nel composito movimento internazionale di solidarietà . In questi frangenti occorre tuttavia starci con la testa, tentare di capire le ragioni di questa battaglia e quindi decidere chi abbia ragione e chi torto. Alcuni, che certamente ci rimprovereranno questa nostra impostazione “manichea”, hanno condannato gli scontri facendo appello all’unità  e alla conconcordia. Anche i fratelli del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) hanno adottato questa posizione. Lo scontro virulento non ਠemerso dal giorno alla notte, ha cause e radici profonde, aveva già  avuto dei precedenti negli anni passati. La causa delle cause ਠche da Oslo in poi al-Fath ha sempre più decisamente puntato a raggiungere per via negoziale un accordo con Israele sulla base dello slogan “due popoli due stati”. Sono passati quasi vent’anni, un’intera generazione, e il fallimento di questa strategia ਠsotto gli occhi di tutti, soprattutto degli stessi palestinesi. I palestinesi non hanno niente, i sionisti invece si sono tenuti tutto, hanno anzi rafforzato le loro posizioni. Costruendo nuovi insediamenti coloniali sionisti nel cuore della Cisgiordania, erigendo un colossale muro di cinta accerchiando i Bantustan palestinesi. Nel frattempo gli Stati Uniti, il grande sponsor di Israele ha aggredito l’Iraq nell’ottica del “Nuovo Medio Oriente” del quale Israele resta la spina dorsale —e in quest’ottica continuano ad armarlo fino ai denti, non senza sostenere la sua spinta aggressiva (Libano 2006). Al-Fatah si ਠprestato a questo gioco, ਠanzi stato un attore fondamentale di questo inganno storico “due popoli due stati”. Per di più, una volta acquisito il potere nei Bantustan cisgiordani, ha amministrato in una maniera vergognosamente mafiosa, nepotistica, corrotta e anche ferocemente repressiva verso le componenti ostili agli accordi. Non era un segreto per nessuno che i servizi di sicurezza di Abu Mazen, quelli del famigerato uomo forte Dahlan per capirci, hanno strettamente collaborato con quelli sionisti allo scopo di stroncare e decapitare le frazioni radicali e antimperialiste palestinesi.
Perse le ultime elezioni a vantaggio di Hamas, al-Fath non ha fatto alcuna autocritica, ha anzi usato pro domo sua l’infame embargo dichiarato dalla comunità  internazionale allo scopo di ricattare i palestinesi affinchਠsi pentissero di aver votato per Hamas.
Il sostegno plateale e fulmineo offerto da Bush e da Olmert ad Abu Mazen dopo che Hamas ha ottenuto il pieno controllo di Gaza ਠeloquente. Abu Mazen ਠuna loro pedina. Gli islamisti palestinesi, non ha torto, dicono che egli ਠun fantoccio di Israele e degli americani. Le potenze imperialiste hanno infatti sostenuto non solo la gravissima decisione di Abu Mazen di dimissionare il governo capeggiato da Hamas (il vero casus belli dello scontro in atto). Esse hanno anche ritenuto legittimo il colpo di mano di Abu Mazen con il quale ha formato un nuovo governo che non rappresenta nessuno.
Le decisioni di Abu Mazen violano apertamente la costituzione palestinese in quanto egli, pur formalmente potendo dimissionare un governo, non puಠinsediarne un altro con atto di’imperio, ovvero senza l’approvazione del Consiglio Legislativo Palestinese (PLC). C’ਠdi più. La Costituzione non da al Presidente, nemmeno ove dichiarasse lo stato di emergenza, di sospendere gli articoli che riguardano l’autorità  del governo (Consiglio Legislativo Palestinese) nà© ha l’autorità  di dissolvere o interrompere i lavori del CLP durante il periodo di emergenza (articolo 113). In poche parole se golpe c’e’ stato questo ਠquello orchestrato per procura da Abu Mazen. Questo va ricordato agli amici nostrani di Abu Mazen, che per confondere le acque la buttano sul piano della democrazia.

Allo scopo di assicurarsi l’appoggio di americani, israeliani ed europei, Abu Mazen ha denunciato quei paesi stranieri che si immischierebbero negli affari interni palestinesi (leggi: Siria e Iran che stanno con Hamas). Questo e’ proprio il colmo dei colmi! Gli israeliani compiono incursioni unilaterali in terra palestinese quasi ogni giorno, uccidono, bombardano, arrestano, demoliscono, sradicano —il tutto con l’avvallo della vasta schiera degli Stati alleati— e questo sicofante, vero e proprio simbolo e arnese del regime di satrapia e vassallaggio a cui la Palestina ਠsottoposta, sbraita contro l’ingerenza iraniana e siriana. Ovvero l’ingerenza dei suoi pupari ba bene, quella dei suoi avversari no. L’internazionalismo degli americani ਠbenvenuto, quello persiano sarebbe illegittimo. Siamo alla farsa.

L’ultima trappola ideologica utilizzata dagli amici e dai simpatizzanti di Abu Mazen-al-Fatah per sostenere il golpe ਠche esso sarebbe necessario per stroncare il desiderio di Hamas di istituire una dittatura teocratica islamista. E’ la medesima trappola ideologica usata dai fans dell’esportazione bushiana della democrazia per cui non ci sarebbero Resistenze popolari, in Iraq o in Libano, in Afganistan, ma solo movimenti fondamentalisti religiosi per i quali la liberazione nazionale contro gli invasori sarebbe solo un pretesto per edificare regimi teocratici oscurantisti. Tutto fa brodo quando si tratta di camuffare gli scopi reconditi delle potenze imperialiste. Tutto fa brodo quando si tratta di delegittimare le Resistenze, sputtanarle e isolarle. Purtroppo in tanti abboccano. Per loro il mondo ਠcome un teatrino di ombre cinesi. Essi non vedono gli interessi reali in gioco, le aspirazioni concrete e i bisogni, le cause più profonde dei conflitti ma, appunto, solo le loro rappresentazioni immaginarie e spesso alienate. E’ la classica inversione soggetto predicato. I popoli oppressi che combattono per la loro liberazione e che oggi si servono dell’Islam per dare senso storico alla loro lotta (dopo tanti tentativi falliti quali il socialismo, nazionalismo panarabista, ecc.) da soggetti reali diventano ombre, protesi della forma in cui si rappresenta oggi la loro spinta emancipatrice. Il soggetto diventa cosଠla religione, l’islam il demiurgo. Per cui non ਠche Hamas dia corpo alle aspirazioni palestinesi alla liberazione nazionale e sociale (e per questo dovrebbe essere compresa e sostenuta), Hamas va invece contrastata perchà© sarebbe anzitutto l’incarnazione di quella diabolica potenza metafisica che ਠl’Islam. Materialismo storico addio. Addio anche alle sofisticate argomentazioni illuministiche per cui la riforma protestante sarebbe stata, malgrado l’oscurantismo misticheggiante di un Lutero, la rappresentazione religiosa di forze storiche eversive capitalistche, vanno a farsi benedire. Scopriamo che l’analisi storica introspettiva e critica varrebbe solo per noi occidentali, non per gli arabi o gli afgani, che essendo notoriamente dei barbari non meritano la nostra intelligenza e sensibilità .
Addio Lenin, addio Trotsky, addio Mao. La contraddizione principale non sarebbe più quella tra sfruttati e sfruttatori, tra oppressi e oppressori, tra imperialismo e popoli in cerca di emancipazione. Sarebbe quella tra forze laiche secolariste, e forze clericali oscurantiste e fondamentaliste. Lo scontro principale sarebbe tra democrazia e teocrazia. Al fondo, in una forma politicamente sacralizzata, la battaglia tra il bene e il male. Questa rappresentazione ਠproteiforme, tentacolare, pervasiva. Copre uno spettro amplissimo che va da Bush e dai nazi-sionisti, fino alle più estreme propaggini della sinistra radicale. Volevate sapere una delle cause della crisi dei movimenti contro la guerra? Eccovela: ਠche proprio attraverso la sinistra zone ampie di questi movimenti sono precipitate nella trappola ideologica imperiale che la guerra sarebbe guerra tra le civiltà  per cui si diventa sordi al grido di aiuto delle resistenze. All’obiezione che non ci sono guerriglieri taliban in Europa, ma soldataglia occidentale in Afganistan, e che occorre dunque fare una scelta di campo tra l’internazionalismo imperialista e il nazionalismo patan, ti rispondono con un’alzata di spalle, nà© di qua nà© di là . Al fondo la considerazione ਠquesta: sempre meglio vivere alla nostra maniera, confort e privilegi annessi, che nella pauperitas antimodernista dei taliban.
Che occorra distinguere le cause materiali e geopolitiche di una guerra dalle sue rappresentazioni ideologiche non significa che questa rappresentazioni non abbiano importanza. Certo che ce l’hanno. Certo che l’Islam ਠun potente fattore ideologico di mobilitazione, come i diritti umani, la libertà  e l’eguaglianza lo sono stati per gli oppressi in occidente. Quello su cui occorre interrogarsi ਠperchà© l’Islam sia assurto a grido di battaglia per gli oppressi, mentre la democrazia sia diventata, da principio universalistico emancipatorio, l’inno di guerra dei becchini e dei carnefici americani. Non amiamo nessun fondamentalismo religioso ma una cosa ਠcerta: gli islamisti hanno ragione da vendere quando affermano che la democrazia ਠdiventata la foglia di fico della moderna tirannia imperiale e sionista.
E’ vero che l’umanità  deve scoprire forme nuove, universali e libertarie di emancipazione. Dubitiamo che questa scoperta possa essere compiuta in laboratorio, a prescindere dall’esito della battaglia epocale in corso. Occorre un habitat adeguato affinchਠidee nuove possano germogliare. Bisogna che il sollevamento dei popoli oppressi (non quindi un’altro blocco neo-imperialistico, magari sino-russo) distrugga le pretese imperialistiche americane e occidentali affinchà© l’umanità , e non più solo ristrette minoranze, sia posta concretamente davanti all’urgenza di trovare un’alternativa, a trovare un modello che sappia coniugare libertà  ed eguaglianza.
Anche per questo, malgrado tutto, siamo con Hamas.

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2. DOPO IL 9 GIUGNO
Prime riflessioni sugli scenari aperti dalla manifestazione del 9 giugno
di Leonardo Mazzei

Raramente una manifestazione, per quanto importante, offre ed impone elementi di riflessione come quella di sabato 9 giugno in occasione della visita di Bush.
Abbiamo più volte discusso della necessità  di non enfatizzare le manifestazioni nazionali, spesso rituali all’ennesima potenza quanto incapaci di incidere nei processi reali. Ritengo che questa valutazione, di carattere generale, sia assolutamente giusta ed ampiamente verificata nel corso degli anni.
A volte, perà², si presentano delle eccezioni. Avviene quando questi momenti rituali, e dunque altamente simbolici, incrociano tendenze più profonde, esaltando cosଠplasticamente nella consumazione del rito elementi reali di passaggio e/o di svolta.
Credo che questo sia il caso della manifestazione di sabato.

Dal punto di vista della chiarificazione politica, la venuta di Bush ਠstata una vera manna, mettendo allo scoperto quel che a febbraio (manifestazione di Vicenza) era ancora avvolto nell’ambiguità  di un movimentismo incapace di discernere tra governismo (magari da “condizionare”) ed opposizione.
A Roma le “nebbie padane”, che Bertinotti disse una volta di amare, recitando l’improbabile parte del sindacalista che partecipa ai picchetti del turno delle 6, si sono ampiamente dissolte.

Potranno ritornare queste nebbie? Ovvio che sà¬, ma intanto sono state spazzate via.
Spazzate via, beninteso, non da un impetuoso “vento dei movimenti”, che ovviamente non esiste, ma – per una volta sia consentito usare questa vetusta formula – dall’oggettività  dei processi reali, che non consentono più la felice ambiguità  del “partito di lotta e di governo”, come sul versante opposto ha osservato D’Alema.
Il gruppo dirigente del Prc (ma in una situazione analoga sono anche Pdci e Verdi) ਠin preda al panico: molti cominciano a sparare sul “gran condottiero” seduto sul più alto scranno di Montecitorio, altri cominciano a tramare per sostituire magari Giordano con Migliore, tutti pensano che la futura salvezza stia nel nuovo partito della sinistra, ma intanto Piazza del Popolo ਠrimasta senza popolo…..

Apprendiamo che alla riunione della Segreteria del Prc di ieri sarebbe uscito il seguente ed illuminante concetto: “Non ripeteremo l’errore, in futuro saremo sempre con i movimenti, anche se non condividessimo le piattaforme”. Credo che non sfugga a nessuno che un partito che ragiona cosଠਠun partito alla frutta.

Il primo elemento di riflessione ਠdunque questo: la crisi del centrosinistra ਠanche crisi dei suoi settori di sinistra. Una crisi che nessun Mussi potrà  seriamente raddrizzare. La giornata del 9 l’ha visualizzata nel migliore dei modi anche grazie al risultato delle amministrative (calo di tutte le forze di governo, aumento dell’astensionismo).

Il secondo elemento ਠche questa crisi, personalmente da sempre prevista e ritenuta inevitabile, ਠperಠgiunta con largo anticipo sui tempi fisiologici delle dinamiche bipolari. Questo grazie al risultato elettorale sul filo di lana del 9 aprile 2006 che restringe obiettivamente ogni margine di manovra propagandistica. Questo anticipo dei tempi, che si accompagna ad un crescente malcontento popolare, richiede una decisa rapidità  di risposta, dato che in alcuni passaggi politici i tempi sono importanti quanto le strategie.

Il terzo elemento, per noi decisivo, ਠche per fortuna al fiasco di Piazza del Popolo si ਠcontrapposta la riuscita del corteo. A fronte di una presunta “sinistra radicale” in crisi, ਠemerso un popolo di “resistenti” al bipolarismo che ha ancora tanti limiti, ma certo altrettante potenzialità  â€”ho messo le virgolette a “resistenti” perchà© sia chiaro che di potenzialità  più che di coscienza si tratta. Ma non ਠpoco. E’ noto infatti quanto la logica bipolare sia penetrata in profondità  nella società  italiana.
Si tratta ora di vedere come rapportarsi a questi elementi nuovi, la cui evidenza ਠtale da costringere perfino la stampa nazionale ad occuparsene quotidianamente.

Procederಠsinteticamente per punti, trattandosi appunto di primissime riflessioni da discutere e confrontare con tutti i compagni.

1. Sul testo di convocazione della manifestazione del 9 giugno credo che abbiamo fatto bene a non sottoscriverlo. Troppo netta e sfacciata, perchà© potessero esserci margini di adesione, l’amputazione del punto strategico del sostegno alle Resistenze.

Ma abbiamo fatto bene a partecipare e a non isterilirci in una polemica con le forze promotrici. Questa posizione – nell’occasione innegabilmente di basso profilo – ci consente oggi di cogliere appieno la portata politica delle “due piazze del 9 giugno”, portata che ci era già  chiara prima, ma che si ਠingigantita a causa del flop dei governativi. Indubbiamente sarebbe stato preferibile arrivare al 9 giugno più forti. Ma se questo non ਠstato possibile, abbiamo perlomeno evitato errori marchiani che altri hanno compiuto

2. La previsione delle dinamiche future presenta inevitabilmente un certo numero di incertezze. Dobbiamo perಠcercare di individuare alcuni punti fermi, che a mio avviso sono i seguenti: a) le tensioni dentro la maggioranza governativa cresceranno, ma la sinistra di governo, al di là  di qualche aggiustamento tattico, non puಠpermettersi la rottura. Ma anche se rottura vi fosse (ipotesi che considero estrema, ma che non possiamo escludere in assoluto) la perdita di credibilità  in atto appare come un processo senza ritorno.
Ne consegue che le dinamiche messe in evidenza il 9 giugno dovrebbero ampliarsi e consolidarsi.

3. E’ possibile allora ipotizzare la nascita di un’aggregazione certamente anticapitalista, in linea generale antibipolare, potenzialmente antimperialista.
Sull’anticapitalismo dell’aggregazione che ਠscesa in piazza sabato mi pare infatti che non possano esserci dubbi.
Sul fatto che esista una coscienza antibipolare il discorso ਠpiù complesso. C’ਠoggi un’opposizione a Prodi per gli atti concreti del suo governo, mentre non si puಠcerto dire che esista la consapevolezza della natura sistemica dell’attuale strutturazione della politica.
Sull’antimperialismo (ed il relativo sostegno alle Resistenze) le difficoltà  sono ancora maggiori. In questi anni abbiamo fatto grandi passi avanti, ma abbiamo visto anche di recente quali sono i limiti delle principali componenti di questo movimento, anche di quelle nominalmente antimperialiste.

4. Si apre, perà², una partita vera. Questo ਠil punto essenziale: lo scenario che si ਠaperto ਠfortemente dinamico, e la partita della costruzione di un’alternativa di rottura nei confronti del bipolarismo ਠuna partita decisiva. Possiamo non giocarla?
Ritengo che sarebbe assurdo. Questa partita dobbiamo giocarla, per cercare di raccogliere ciಠche abbiamo seminato in questi anni. La battaglia antimperialista ed a sostegno delle Resistenze dobbiamo portarla in quell’ambito, pena l’isterilirsi della nostra iniziativa.
Ovviamente l’esito non ਠscontato, come in tutte le partite vere. Di questo dobbiamo essere consapevoli. Ma anche dovesse andare male, avremmo sempre investito con i nostri contenuti alcune migliaia di persone, che ਠsempre meglio che discutere con alcuni settori obiettivamente residuali ed accecati da forme di estremismo ideologico paralizzante.

5. Se decideremo di andare nella direzione che auspico, dovremo aver chiare le caratteristiche degli interlocutori. I limiti del movimentismo e del sindacalismo sono evidenti e noti. Senza dubbio vi sarà  chi tenderà  a costruire una semplice rete dei movimenti sociali, una sorta di sindacalismo allargato quanto controllabile.
Noi dovremmo invece puntare alla costruzione di una soggettività  politica, inevitabilmente di tipo nuovo, ma in grado di perseguire l’attacco al sistema bipolare, che ਠla struttura politica che si fonda su un rigido criterio di esclusione/inclusione proprio in base all’adesione o meno agli imperativi sistemici, al primo posto dei quali vi ਠl’adesione all’imperialismo nella sua attuale strutturazione gerarchica a dominio Usa.
In conclusione, mi pare che siamo al momento delle scelte.
Su molte questioni abbiamo visto meglio e più lontano di altri.
Se l’analisi qui abbozzata ਠcorretta, occorre ora compiere un passo deciso nella direzione giusta.

Temporeggiare non servirebbe a niente. Quel che serve ora ਠuna discussione approfondita e larga, anche per individuare meglio i passi concreti da compiere fin da subito.

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