Prime valutazioni sulle elezioni provinciali in Iraq
di Leonardo Mazzei
Ad una settimana dal voto del 31 gennaio la
commissione elettorale indipendente irachena ha diffuso i primi dati
elettorali. Non ਠpossibile sapere quando questi dati provvisori
diventeranno definitivi, visto il gran numero di ricorsi contro brogli
ed altre irregolarità che hanno caratterizzato anche queste elezioni.
Si parla di 2 o 3 settimane di tempo…
Intanto, perà², sulla base delle percentuali disponibili, ਠpossibile una prima valutazione.
La
stampa italiana, peraltro assai distratta, ha messo in evidenza due
elementi: la “vittoria” di al Maliki, l’affermazione dei “laici” sui
“religiosi”. Con questa interpretazione si vuol dire in sostanza che
l’uomo che ha fatto l’accordo con gli Usa (il SOFA – Status of forces
agreement) sta normalizzando e laicizzando il paese.
Si tratta di un’interpretazione corretta? Assolutamente no.
E’ interessante notare come questa lettura dei fatti trovi dei fanatici assertori nelle pagine di giornali di sinistra. <
(articolo di Sara Volandri del 7 febbraio). Se la coerenza avesse un
posto in quei luoghi del giornalismo d’accatto, l’articolo avrebbe
dovuto concludersi con un “Grazie Bush!”. Ma lasciamo perdere e
passiamo a cose più serie.
La “vittoria” gonfiata di al Maliki
C’à¨
stata, oppure no, la vittoria del Da’wa? La lista che vi fa
riferimento, l’Alleanza per lo Stato di diritto, ਠindubbiamente
arrivata prima in 9 province sulle 14 in cui si votava (non si ਠvotato
nelle altre 4 a maggioranza curda), ma con quali percentuali?
La
vittoria ਠstata netta solo a Baghdad (38%) ed a Bassora (37%),
province dove peraltro la partecipazione al voto ਠstata molto bassa
(48% a Bassora, meno del 40% a Baghdad), segno evidente del potere
clientelare di al Maliki negli apparati statali e della disfatta degli
alleati di governo del Consiglio Supremo Islamico Iracheno (ISCI), l’ex
SCIRI di al Hakim, nel sud del paese.
Nelle altre 7 province in cui
ਠarrivata prima, la lista di al Maliki vince con percentuali molto
basse: 23,1% a Dhi Qar e Qadissiya, 17,7% a Maysan, 16,2 a Najaf, 15,3%
a Wasit, 12,5% a Babel. Solo la straordinaria frammentazione del
panorama politico iracheno ha dato il primo posto al partito del
premier in queste province, ma dire che siamo di fronte ad una grande
affermazione ਠpalesemente inesatto. Com’ਠtotalmente inesatto parlare
di affermazione delle forze “laiche”, a meno che si arrivi ad arruolare
tra i laici il Da’wa, peccato che si tratti del più antico partito
iracheno di ispirazione religiosa…
Altrettanto interessante il
dato delle altre 5 province. Nell’importantissima provincia di Ninive
(Mosul) la lista del Da’wa non ਠarrivata neppure all’1%, in quella di
Salahuddin ha ottenuto il 3,5%, a Kerbala (dove precedentemente aveva
la maggioranza) al Maliki ottiene solo l’8,5% piazzandosi al terzo
posto, nella provincia di Dyala il risultato ਠstato del 6%, mente in
al Anbar, la grande provincia che ਠstata il cuore della Resistenza
all’occupazione, al Maliki non ha neppure presentato una lista. Da
notare che se al Anbar, Salahuddin e Ninive sono province a maggioranza
sunnita, Dyala ਠconsiderata “mista”, mentre Kerbala ਠaddirittura a
maggioranza sciita.
Proiettando questi dati su scala nazionale ne
viene fuori un’affermazione piuttosto modesta in un quadro assai
confuso. Uno stallo elettorale, che necessiterà di complicate politiche
delle alleanze nelle province, che ben si inserisce nella più generale
condizione di stallo in cui si trova l’Iraq di oggi.
Un paese in bilico
L’Iraq
rimane un paese in bilico. La persistente frammentazione per linee
religiose, la polverizzazione interna ai due grandi campi sciita e
sunnita ਠciಠche volevano gli occupanti. Il governo di al Maliki si
regge su questo fragile equilibrio, ma fondamentalmente sul sostegno e
sui soldi americani. In questo quadro un relativo successo della lista
filo-governativa era scontato, ma non per questo la stabilizzazione à¨
vicina.
Intanto la partecipazione al voto ਠstata bassissima, il 51%
contro il 55,7 delle elezioni del gennaio 2005 fortemente boicottate
dalle forze della Resistenza, in secondo luogo appare assai forte la
mobilità elettorale, con travasi di voti da una lista all’altra in
alcuni casi impressionanti, in terzo luogo ਠchiara la sconfitta di
tutte le forze di governo nelle varie province.
Quest’ultimo
elemento, in particolare, segnala lo stato di instabilità che permane,
soprattutto in vista delle prossime – e ben più importanti – elezioni
politiche. Limitandoci al campo sciita – l’analisi di quello sunnita à¨
più complesso, visto il rimescolamento di forze seguito al sostanziale
boicottaggio del 2005 – viene fuori una sconfitta delle vecchie forze
di governo in tutte e 9 le province.
L’ex Sciri ha perso tutte le 7
province che amministrava (compresa Baghdad), segno evidente della
sconfitta della linea separatista, favorevole alla tripartizione del
paese, e della politica del terrore dei sui squadroni al Badr. Ma anche
i sadristi hanno perso l’unica provincia in cui governavano (Maysan),
mentre abbiamo già detto della clamorosa sconfitta di al Maliki nella
sua Kerbala.
Se tra i sunniti la tripartizione ਠsempre stata
respinta, va detto che oggi la stessa tendenza prevale tra gli sciiti,
con la disfatta dell’Isci e la tenuta delle liste che fanno riferimento
a Moqtada al Sadr, da sempre fiero oppositore della cantonalizzazione
dell’Iraq.
Tra i sunniti ਠda segnalare l’affermazione della lista
neo-baathista del “Gruppo del progetto nazionale iracheno”, guidata da
Salah al Mutlak, che ha vinto in al Anbar ed ha riportato significativi
risultati nelle altre province a maggioranza sunnita; cosଠcome va
segnalata l’affermazione di al Hadba, la coalizione delle forze arabe
nazionaliste che ha stravinto nella provincia di Ninive contro il
blocco delle forze curde precedentemente al governo.
Quale futuro?
Se
un segnale viene ਠquello di un paese assolutamente insoddisfatto che
sta ancora cercando la via per venire fuori dal baratro in cui ਠstato
gettato prima dall’embargo e poi dalla guerra scatenata da Bush nel
2003.
Il relativo successo di al Maliki non deve essere interpretato
come un avallo al permanere dell’occupazione americana. Non si tratta
solo del fatto che la lotta agli occupanti non si fa con le elezioni,
tanto più se esse si svolgono in condizioni che ne inficiano in
partenza la regolarità ; si tratta anche di capire le difficoltà in cui
versa la Resistenza, a causa del successo della politica di “divide et
impera” praticata dagli Usa.
Tre sono le grandi questioni che
rimangono aperte: la liberazione del paese dagli occupanti, la difesa
dell’unità nazionale, la difesa degli interessi nazionali (petrolio in
primis) contro la svendita ai grandi gruppi multinazionali.
Quel che
possiamo dire oggi, sulla base di dati provvisori, contestati da molti
ed in particolare dai sadristi, ਠche lo stallo continua.
Uno stallo
determinato dal fatto che gli occupanti si sono impantanati, ma non
sono stati cacciati. Uno stallo determinato dall’incapacità delle
stesse forze della Resistenza di arrivare ad una piattaforma unitaria
in grado di delineare un nuovo Iraq libero ed unito.
Questo impasse
non ਠperಠuna resa. La maggioranza del popolo iracheno rimane contro
l’occupazione e per un paese unito ed in grado di gestirsi le proprie
ricchezze. Vedremo nel prossimo futuro se questa aspirazione alla
liberazione nazionale troverà le vie più efficaci per affermarsi.