àˆ possibile uno stabile regime fantoccio targato USA?
La resistenza irachena e la questione sciita
àˆ possibile uno stabile regime fantoccio targato USA?
Di Willi Langthaler
Nella loro propaganda quotidiana gli Stati Uniti affermano che gli innumerevoli attacchi alle loro truppe in Iraq sarebbero portati soltanto da “nostalgici” seguaci di Saddam e dalla organizzazione wahabita Al-Qaeda. La situazione non ਠin realtà cosଠsemplice. àˆ evidente che la guerriglia ha un ampio sostegno tra la popolazione. Essa si muove, per dirla con le parole di Mao, “come un pesce nell´acqua”. Innumerevoli manifestazioni e dichiarazioni pubbliche dimostrano il rifiuto della potenza occupante da parte della stragrande maggioranza della popolazione. Gli stessi bambini, da cui gli invasori speravano di essere accolti con le bandierine a stelle e strisce, ballano davanti ai mezzi militari americani bruciati.
Alcune differenziazioni vanno comunque fatte. Mentre la popolazione arabo-sunnita conduce attivamente la resistenza anche nella sua forma armata, la maggioranza sciita ਠsinora rimasta, nonostante la sua opposizione agli Stati Uniti, prevalentemente passiva.
I rappresentanti delle correnti di opposizione – siano essi nazionalisti o islamisti – cercano di minimizzare questa differenza riconducendola all´influenza americana.
Quanto più questa divisione confessionale corrisponde agli interessi americani e la sua incentivazione da parte degli Usa appare quindi logica, tanto più risulta essere troppo semplicistico il ridurla a questa sola spiegazione. In questo caso il desiderio ਠ– comprensibilmente e da un punto di vista politico anche ragionevolmente – padre del pensiero.
La spaccatura tra sunniti e sciiti nella società irachena ਠmolto più antica della politica egemonica americana nella regione. Le sue radici affondano nel regno ottomano e nella successiva istituzionalizzazione a livello statale di questa divisione da parte della politica coloniale britannica.
La risposta decisiva per le prospettive del dominio americano nel Paese dei Due Fiumi, come per il movimento di resistenza all´occupazione, dipende da quale dirigenza deciderà di darsi la maggioranza sciita e come questa si comporterà nei confronti dell´occupazione.
Gli USA rivedono l´atteggiamento “morbido” britannico del 1920
Quando nel corso della prima guerra mondiale i britannici conquistarono l´odierno Iraq essi pensarono inizialmente ad una amministrazione coloniale diretta. Soltanto la rivolta del 1920, guidata dalla popolazione rurale sciita – ma sostenuta anche dagli ulama, il potente clero sciita – e dalla casta degli ufficiali sunniti, convinse Londra che l´Iraq poteva essere dominato unicamente in modo indiretto.
Il governo britannico si decise allora per una classica politica del “dividi et impera”. Un re forestiero fu messo a capo di uno stato costruito sui resti dell´apparato ottomano. In effetti la monarchia di Faisal si sostenne sulla à©lite sunnita degli ex ufficiali ottomani, sui funzionari amministrativi, i latifondisti e i ricchi commercianti.
Già l´impero ottomano aveva sistematicamente discriminato gli sciiti. Benchà© fondamentalmente costituito in modo multinazionale e per quanto anche alle minoranze religiose fossero concessi importanti diritti attraverso il sistema delle millet, il governo ottomano perseguଠgli sciiti in quanto opposizione sociale e per il loro ruolo di tirapiedi dei rivali persiani. Il fatto, ad esempio, di aver loro proibito l´accesso ad una forma di istruzione di tipo moderno ottenuta attraverso le riforme – le tanzimat – rappresenta una delle tante ragioni per le quali essi in seguito non trovarono spazio nella moderna amministrazione istituita dai signori coloniali.
Mentre i Mujtahids sciiti [studiosi che avendo appreso la Shari`a possono formulare sentenze indipendenti], che oltre alla guida religiosa degli sciiti avevano anche quella politica, continuavano a ribellarsi contro i britannici, l´à©lite sunnita – che aveva potuto costituirsi come facciata del potere britannico – si dimostrಠoltremodo pronta alla cooperazione.
Nonostante vi siano state a partire dal colpo di stato progressista del 1958 delle sostanziali trasformazioni nella socià©tà irachena, l´egemonia dei sunniti sull´apparato statale ਠrimasta inalterata fino all´occupazione degli Stati Uniti nel 2003. Dopo la deposizione e l´uccisione del generale Kassem nel 1963, la breve parentesi baathista e la presa del potere da parte prima degli ufficiali nasseristi e in seguito, nel 1968, del partito Baath, questa preminenza sunnita si ਠulteriormente rafforzata.
Tuttavia, almeno a partire dal 1991, il regime Baath diventಠper la borghesia sunnita un incubo. Lo stesso partito Baath che l´aveva di fatto creata ne mise in pericolo, con il suo corso anti-occidentale, gli interessi di base.
Impedita politicamente, la moderna à©lite sunnita potà© dare prova della propria disponibilità alla cooperazione con gli USA soltanto immediatamente prima e durante l´attacco anglo-americano. Non sono stati i poveri sciiti a passare alla rivolta – quella rivolta continuamente preannunciata dalla macchina mediatica occidentale – bensଠi sostenitori stessi del regime, i corpi ufficiali della guardia repubblicana e dell´esercito, i quali hanno concluso un accordo con gli USA e hanno consegnato senza combattere Baghdad agli invasori.
Il rapido successo militare dei signori della guerra americani puಠessere ampiamente spiegato con questo tradimento che tuttavia non va fatto ricadere su singoli generali ma deve essere inteso come espressione di una tendenza sociale.
L´offerta storica racchiusa implicitamente in questa condotta, cioਠla possibilità di mettere sotto controllo americano l´antico apparato statale baathista, ਠstata perಠrifiutata da Washington. I ministeri sono stati distrutti da saccheggi che i vincitori hanno volutamente ignorato, mentre la polizia e l´esercito sono stati dai nuovi signori completamente disciolti.
Il vecchio stato baathista sul quale gli Stati Uniti, analogamente ai loro predecessori britannici, avrebbero potuto appoggiarsi per la costruzione di un nuovo apparato statale a loro asservito, ਠstato smantellato. In tal modo Washington si ਠpreclusa da sà©, almeno nel breve periodo, la possibilità di un sistema politico di governo indiretto, trovandosi costretta a proiettare, come si dice in gergo bellico, una parte significativa della propria potenza militare globale sull´Iraq. Non soltanto ciಠcomporta maggiori costi e un sovra-dispiegamento militare, ma potrebbe anche produrre delle conseguenze politiche imprevedibili.
Le correnti della resistenza sunnita
Un duraturo dominio militare diretto degli USA sull´Iraq deve sembrare una assurdità politica anche al Pentagono e alla Casa Bianca. Finora tutti i tentativi di colonialismo diretto nel mondo arabo sono falliti – eccezion fatta ovviamente per il colonialismo degli insediamenti sionisti. Questo vale naturalmente anche per l´Iraq. Ogni giorno di occupazione porta strati sempre crescenti della popolazione contro gli occupanti.
Ciಠਠvero in particolare in ambito sunnita dove la resistenza abbraccia quasi tutti i ceti sociali e comprende quella stessa à©lite che, pronta alla cooperazione, ਠstata invece scacciata dagli americani. Uno dei motivi fondamentali della forza militare della resistenza ਠil fatto che vi siano confluite parti consistenti delle forze armate costrette in clandestinità .
La resistenza politica e militare ਠincominciata appena pochi giorni dopo la presa americana di Baghdad. Finora sono venuti alla luce centinaia di gruppi diversi. La situazione ਠtuttavia molto fluida e ogni giorno emergono nuove organizzazioni, ma fino ad oggi nessuna di queste ਠriuscita a stabilire la propria egemonia. Affinchà© i diversi orientamenti politici si cristallizzino chiaramente dovrà ancora trascorrere del tempo. Per un bilancio della situazione non ha perciಠmolto senso porre l´accento su singoli gruppi.
La stessa provenienza di Abd al Jabbar al Kubaysi, il leader della “Opposizione Patriottica”, raggruppamento di orientamento baathista di sinistra, puಠessere ricondotta ad una delle tre diverse grandi correnti politiche che descriviamo di seguito.
La prima ਠquella raggruppata attorno a Saddam Hussein, composta da ufficiali la cui lealtà si nutre di una forte tradizione tribale e una grande coesione regionale. Corrispondentemente le loro attività si concentrano a Tikrit e lungo il Tigri. La seconda corrente ਠquella costituita dagli ufficiali nazionalisti critici nei confronti di Saddam Hussein. Il suo centro si trova a Falluja ma il suo raggio d´azione si estende da Baghdad lungo l´Eufrate fino al confine siriano. In entrambe queste correnti la spina dorsale militare ਠcostituita da ex appartenenti alle forze militari. Sarebbe perಠun errore considerarle in termini riduttivi in quanto esse dispongono anche di salde radici nelle popolazioni locali. In origine entrambe le tendenze furono politicamente plasmate dal baathismo, tuttavia poichà© non esiste più una istanza di potere centrale, esse si differenziano e accolgono anche altre posizioni storiche del nazionalismo. Vi ਠinfine una resistenza che si ispira all´Islam. Gruppi wahabiti vicini ad Al Qaeda esistono ma hanno soltanto un ruolo di secondo piano. Si tratta più di un nazionalismo arabo-iracheno colorato di islamismo. In conclusione, la resistenza puಠessere considerata nel suo insieme un continuum di nazionalismi di diversi colori.
Non va tuttavia taciuto il fatto che, per esempio, i fratelli musulmani sunniti collaborano con la potenza occupante e hanno espresso un rappresentante nel “consiglio provvisorio”.
La grande incognita
Si sente spesso dire che il completo smantellamento dell´apparato statale baathista e con esso la fondamentale revisione del modello britannico del dominio sunnita sarebbe semplicemente frutto della stupidità americana. Ciಠsembrerebbe senz´altro possibile. Ma che si tratti di una scelta voluta o di un fatto accidentale, questa mossa di Washington potrebbe imporre un cambiamento sostanziale del grande progetto sull´Iraq e sulla regione. In tal senso un regime fantoccio basato sulla maggioranza sciita non puಠessere escluso a priori come impossibile.
Yitzhak Nakash, professore alla Brandeis University del Massachusetts, indica nella edizione estiva 2003 di “Foreign Affairs”, l´organo ufficioso del ministero degli esteri statunitense, una possibile maturazione nella direzione della politica americana: “I funzionari impegnati nella ricostruzione devono lavorare insieme ai capi sciiti religiosi e tribali moderati, isolare i radicali e darsi da fare per rilanciare la classe media e l´intellighentsia laica che spesso ਠsciita”.
Si tratta di una affermazione programmatica nella quale vengono individuati i nodi centrali della società sciita. Per anni o addirittura decenni ogni movimento politico autonomo ਠstato fortemente impedito o reso completamente impossibile. Quale ruolo politico puಠgiocare il clero? Le classi basse e medie degli sciiti di città ormai secolarizzate lo seguiranno o finiranno per darsi una propria dirigenza? Verso quali cambiamenti sociali ha portato l´embargo e come si svilupperà la piramide sociale sotto l´occupazione? Al momento ਠcon grande difficoltà che si possono tentare delle risposte a queste domande.
I media europei identificano in modo automatico lo sciitismo con degli incattiviti fanatici religiosi, cosଠcome presumono di conoscerli dal Libano all´Iran. A prescindere completamente dal fatto che queste semplificazioni primitive non spiegano nulla, sia il Libano che l´Iran possono essere prese come analogie solo con molte riserve.
I limiti del clero sciita in Iraq
Nelle città irachene di Najaf e Kerbala si trovano i più alti santuari sciiti, meta di pellegrinaggio per fedeli provenienti da tutto il mondo. Essi rappresentavano un tempo anche il centro del sapere sciita.
Tuttavia il clero sciita dell´Iraq non riuscଠmai a giocare lo stesso ruolo di quello dell´Iran, che per un certo tempo ha dominato in Iraq. Per oltre un secolo la maggior parte dei Mujtahids in Iraq furono addirittura persiani. Gli ayatollah arabi al contrario non hanno mai messo radici simili nella società irachena. Da un lato gli mancarono i possedimenti – i waqf – che in Iraq rimasero completamente in mani sunnite, dall´altro essi non poterono neanche contare, come in Iran, sui contributi dei mercanti benestanti del bazar, i quali a Baghdad erano, almeno fino alla istituzione di Israele, prevalentemente ebrei. Questa debolezza finanziaria non potà© neanche essere compensata dalle tasse dei contadini sciiti. La base materiale degli ulama sciiti restarono in prevalenza i pellegrini persiani e i contributi provenienti direttamente dal paese vicino che aveva fatto della shia la religione di stato. Nel momento in cui, nel ventesimo secolo, questo legame venne reso sempre più difficile, ciಠsi riflettà© di nuovo in un declino del ruolo del clero.
Dopo la fallita rivolta del 1920, i Mujtahids proseguirono lo scontro con i britannici e la monarchia da loro protetta. In seguito al fallimento di un ulteriore tentativo di rivolta nel 1923, il potere sunnita si sentଠsufficientemente forte per osare ciಠche fino ad allora era impensabile: la semplice espulsione dei più importanti ayatollah ribelli in Iran. Da questa sconfitta il clero sciita non si sarebbe ripreso tanto presto.
L´emigrazione di milioni di contadini sciiti impoveriti dal sud nelle città , la dissoluzione dei legami tribali e la crescente secolarizzazione come conseguenza della urbanizzazione cosଠcome la nascita di una intellighentsia sciita costituirono, negli anni Cinquanta, le basi di una poderosa crescita del movimento comunista. Di fatto il Partito Comunista Iracheno sostituଠil clero in qualità di dirigenza politica degli sciiti e divenne la piú potente forza della società irachena.
Se il clero non voleva veder perso completamente il suo ruolo storico, aveva bisogno di un sostanziale rinnovamento. Il quietismo tradizionale coltivato a partire dalla sconfitta del 1923 doveva essere superato. Una parte del clero, guidata dall´ayatollah Muhammad Baqir al Sadr, tra i cui seguaci si trovಠanche il successivo dirigente spirituale degli Hezbollah libanesi, Muhammad Hussein Fadlallah, proclamಠla necessità della mobilitazione e dell´organizzazione politica degli sciiti. L´equilibrio da raggiungere consisteva nel tener testa al PC per mezzo di un concetto politico partecipativo che non mettesse in discussione il ruolo guida del clero.
Soltanto dopo che il PC, attraverso la sua esitante politica, ebbe dato prova di non poter prendere il potere e di essere stato indebolito in modo significativo dal putsch del 1963 del partito Baath, l´islam politico di Sadr iniziಠa guadagnare consensi prima nella intellighentsia sciita e poi nei ceti medi delle città . àˆ in questo momento che nacque il partito Dawa.
L´ala quietista degli ulama restಠtuttavia influente. Quando negli anni ´70 l´ayatollah Sadr entrಠin rotta di collisione con Saddam Hussein, egli non riuscଠa riunire attorno a sà© la maggioranza degli sciiti di cui una parte consistente restಠpassiva. Egli perse la prova di forza e venne ucciso.
La guerra Iraq-Iran mise in evidenza il sostanziale dilemma dell´islamismo sciita in Iraq. Tutte le sue correnti si schierarono senza eccezioni dalla parte dell´Iran, mentre i soldati semplici sciiti, e con loro la grande maggioranza della popolazione sciita, difesero l´Iraq, cioਠposero la loro appartenenza all´Iraq arabo al di sopra della loro identità sciita.
In Libano l´islam politico riuscଠad emergere come forza dominante dei diversi segmenti sciiti della popolazione per due motivi. Da un lato gli Hezbollah si impegnarono come una delle più importanti forze in difesa del Libano contro l´aggressione sionista, mentre il clero iracheno si presentಠcome nemico dell´Iraq. Dall´altro in Libano la società ਠesplicitamente organizzata in modo confessionale. La dirigenza religiosa dei gruppi confessionali si ਠquindi assegnata in modo quasi automatico un ruolo politico decisivo.
Mentre in Libano ogni gruppo confessionale rappresenta soltanto una minoranza e non potrebbe mai avere la pretesa di una dirigenza solitaria senza che questa pretesa scateni una guerra civile, in Iraq la situazione ਠsostanzialmente differente. Benchà© il paese dei due fiumi sia de facto anch´esso costituito in modo confessionale, tutte le correnti politiche, anche quelle di ispirazione religiosa, avanzano pretese di ordine generale che vanno oltre le rivendicazioni confessionali. Tra i due poli del prevalente panarabismo sunnita e dell´implicito particolarismo sciita, il nazionalismo arabo-iracheno si stabilଠquindi come denominatore comune. Questa identità politica tendenzialmente racchiudeva in sà© la riduzione del ruolo guida storico del clero sciita.
Le correnti sciite attuali
Che la frazione quietista degli ulama esista ancora e abbia tuttora influenza ਠfuori dubbio. Non a caso appena presa Baghdad gli americani hanno portato in Iraq l´ayatollah al Khui, il quale ਠstato tra l´altro immediatamente ucciso dai suoi oppositori. Dopo di lui ਠora l´ayatollah al Sistani a rappresentare questa tendenza. Questi rappresentanti della Takiyya, della tacita sopportazione di una dominazione laica nemica, potrebbero servire senz´altro alla stabilizzazione di un regime in atto, ma per una sua attiva instaurazione essi sono inadatti.
L´ayatollah Sayed Mohammed Baquir al-Hakim rappresenta in ogni senso la corrente pro-iraniana del clero. Egli dispone di stretti legami familiari con l´ayatollah Khameini, il più alto dirigente della repubblica islamica. Il suo “Consiglio Supremo della Rivoluzione Islamica in Iraq” (SCIRI) rappresenta il principio politico-teologico di Khomeini, il Wilayat-e Faqih, il dominio politico diretto dei giuristi, cioਠil clero sciita, cosଠcome avviene in Iran. Un principio questo che in Iraq non sembra poter essere imposto non soltanto per il peso dei sunniti, ma anche a causa della secolarizzazione degli sciiti di città . Il fratello Abd al-Aziz al-Hakim ਠstato ammesso dagli Usa nel Consiglio Provvisorio. L´influenza politica dello SCIRI non deve essere sottovalutata. Essa dipende in gran parte dalla forte milizia Badr che dispone di diverse migliaia di uomini infiltratisi dall´Iran durante il caos del dopoguerra.
Anche il Partito Dawa (missione islamica) ha accettato un posto nel Consiglio Provvisorio americano. Dopo la fine della guerra Iran-Iraq il partito si allontanಠdalla linea iraniana e, considerata la massiccia perdita di influsso degli sciiti iracheni, accentuಠil proprio carattere arabo. La conseguente accettazione del principio di uno stato islamico basato su elezioni popolari lo pose in contrapposizione al Wilayat-e Faqih. Da un punto di vista organizzativo il partito venne distrutto già durante la guerra degli anni Ottanta e nel decennio successivo non riuscଠpiù, apparentemente, a radicarsi. Di quale influsso esso possa oggi disporre ਠdifficile dire, tuttavia sembra compatibile con il progetto americano e potrebbe servire agli occupanti come strumento per l´organizzazione dei ceti medi sciiti secolarizzati, tanto più che esso presenta nei confronti del clero una certa autonomia.
Negli ultimi mesi la corrente radicale politicamente più significativa si ਠrivelata essere quella raccolta intorno a Muqtada al-Sadr, giovane ayatollah proveniente dalla influente famiglia di Mujtahid dei Sadr del cui prestigio puಠavvalersi. Per quanto troppo giovane per essere un ayatollah riconosciuto, il suo rifiuto della occupazione statunitense, che si manifesta anche nel rifiuto di sostenere il Consiglio Provvisorio, sembra trovare orecchie attente tra la popolazione sciita. Stando ai notiziari dei media, immediatamente dopo la presa americana di Baghdad erano le immagini di al-Hakim a dominare per le strade della città , ma in molti luoghi queste dovrebbero presto essere sostituite dai ritratti di al-Sadr. I poveri quartieri sciiti di Baghdad sembrano essere completamente sotto il suo controllo. Secondo al-Kubaysi, della Opposizione Patriottica, al-Sadr potrebbe essere pronto a stringere una alleanza con le altre correnti della resistenza ivi comprese le forze laiche nazionaliste.
Poichà© il clero sciita non dispone di alcuna rigida gerarchia e non riconosce alcun procedimento formale per la scelta della sua superiore istanza religiosa, il marjal-ala, esistono al suo interno molte gradazioni e sfumature. Si impongono in sostanza quelle correnti del clero che meglio riescono a mobilitare e strumentalizzare l´opinione pubblica per i propri interessi. Cosଠsembrano esserci anche all´interno del campo apertamente anti-americano diversi imam in concorrenza fra loro.
Gli sceicchi e le classi medie
Yitzhak Nakash evidenzia il significato degli sceicchi tribali e delle classi medie per la costruzione di un regime pro-americano. Rispetto al clero costoro potrebbero comportarsi politicamente in modo autonomo. Vedremo se gli Stati Uniti saranno capaci di continuare la tradizione britannica di ingegneria sociale e se saranno in grado di conquistarsi appoggi sociali sicuri.
I latifondisti sciiti costituirono un sostegno fondamentale della monarchia filo-britannica, in particolare dopo che gli ufficiali nazionalisti sunniti ebbero cominciato, durante la seconda guerra mondiale, a flirtare con la Germania nazista, facendo sଠche nel 1941 il Regno Unito si sentisse obbligato ad intervenire militarmente. Attraverso le riforme agrarie di Kassem e in seguito del Baath il potere degli sceicchi venne sostanzialmente ridotto ma non completamente spezzato. Non ਠda escludere che gli USA e i loro tirapiedi tentino di rafforzare questi latifondisti facendoli diventare il sostegno rurale al loro dominio, tanto più che a causa del declino dei settori secondario e terziario l´economia agricola assume ora un maggiore valore.
La re-islamizzazione delle classi medie sganciate dai legami tradizionali e immediatamente secolarizzate avvenne sullo sfondo del crollo del comunismo iracheno, la strutturale discriminazione degli sciiti nell´apparato statale baathista e la prospettiva che la rivoluzione iraniana sembrಠoffrire. Mentre dopo il 1989 nel mondo sunnita l´islam politico potà© diventare la forza più importante della resistenza antimperialista, l´Iran ha ormai perso molto del proprio potere di attrazione quale modello dell´islam sciita. In realtà anche in Iraq non esiste, al di fuori dell´islam politico, alcuna forza credibile contro l´occupazione statunitense tra la popolazione sciita e se gli Stati Uniti dovessero riuscire a tirar fuori dal declassamento queste classi medie, inserendole in un nuovo apparato statale e dando loro una prospettiva sociale, esse potrebbero addirittura diventare un sostegno del loro regime.
I giochi sono ancora aperti
La lotta per ottenere il consenso della maggioranza degli sciiti non ਠancora decisa. Il loro comportamento dipende essenzialmente dalla capacità e dalla disponibilità della forza occupante di integrare rappresentanti sciiti credibili nel loro regime e di cedere loro una parte del potere, in modo che esso non appaia apertamente coloniale. Solo attraverso una tale stabilizzazione potrà essere riavviata la produzione petrolifera indispensabile per poter sostenere i costi del miglioramento delle miserevoli condizioni sociali della maggioranza della popolazione.
Tuttavia per gli Usa la presenza in Iraq sta diventando sempre più una corsa contro il tempo. Da un lato essi temono quella parte del clero sciita pronta alla cooperazione, in quanto gli attribuiscono un atteggiamento filo iraniano; dall´altro la loro arroganza e il loro brutale modo di agire contro la guerriglia e la popolazione civile spinge anche la popolazione sciita sempre più nella resistenza.
Se si riuscisse nei prossimi mesi a costruire un ampio fronte politico-militare della Resistenza che comprenda anche gruppi sciiti, il tentativo americano di installare un regime fantoccio potrebbe essere vanificato e gli Usa sarebbero costretti ad una guerra coloniale invincibile, fatto questo che potrebbe modificare in loro sfavore l´equilibrio di forze nella regione e quindi nel mondo. Gli Usa temono lo scenario di un nuovo Vietnam che, a certe condizioni, puಠdiventare il faro della lotta globale contro l´impero americano.
Uno Stato islamico?
Per le forze antimperialiste in Iraq la priorità principale ਠriuscire a costruire un ampio “fronte nazionale di resistenza e di liberazione” come lo propone al-Kubaysi. La lotta decisiva contro l´occupazione e il rifiuto del Consiglio Provvisorio costituiscono le basi politiche di questo fronte. Questa alleanza nascente mira ad impedire con tutti i mezzi la stabilizzazione del Consiglio Provvisorio perchà© se il regime filo-americano fosse messo in condizione di riprendere in modo massiccio la produzione petrolifera, gli sarebbe più facile isolare la resistenza.
Quali sono tuttavia le ulteriori prospettive che le forze della resistenza, cosଠdiverse e un tempo addirittura nemiche, inseguono rispetto alla forma dello stato? Dal canto loro gli Usa parlano soprattutto di uno stato secolare e sembrano voler escludere le forze islamiche dal potere. Per loro la “democrazia” vale fintanto che essa non tocca gli interessi americani. àˆ evidente che le elezioni generali verranno prospettate soltanto quando l´Iraq sarà per esse “maturo”, cioਠquando il regime filo-americano sarà cosଠsaldamente in sella da poter sopravvivere a delle elezioni che saranno state comunque adeguatamente preparate.
Nella lotta contro il feudalesimo europeo il laicismo ebbe un ruolo rivoluzionario. In Iraq esso si ਠtrasformato in uno strumento dell´imperialismo che combatte contro le masse raccolte sotto la bandiera dell´islam. In queste condizioni esprimersi in modo frontale contro uno stato islamico significherebbe per i nazionalisti laici agire in sostanza negli interessi degli Stati Uniti. L´imprescindibile e necessaria alleanza con gli islamisti che lottano contro l´occupazione sarebbe in questo caso messa duramente alla prova. Anche se il nazionalismo arabo e in particolare il baathismo sono rimasti per tutta la loro storia laici, scorre sufficiente machiavellismo nel loro sangue per capire questo imperativo dettato dalle circostanze e per cedere su questo punto.
Per quanto concerne gli islamisti sciiti, essi potrebbero avere maggiori problemi a raggiungere un compromesso con le altre frazioni della resistenza rispetto alla natura di uno stato sovrano. Quando nel corso della guerra con il vicino persiano le sorti del conflitto sembrarono rivolgersi contro l´Iraq e la formazione di uno regime filo-iraniano in esilio divenne oggetto di discussione, gli islamisti sciiti non riuscirono a unirsi con gli anti-baathisti, le forze provenienti dagli ambienti d´opposizione sunniti. Oggi le condizioni sono diverse, tuttavia una parte del clero persevererà sicuramente sull´idea del Wilayat-e Faqih che, in quanto potere esclusivo del clero sciita, sarebbe comunque impossibile erigere in Iraq. Su questa questione il movimento Sadr non si ਠancora apertamente espresso. In ogni caso Muqtada al-Sadr si chiuderebbe da solo il cammino verso il potere se si insistesse troppo sulle pretese di potere del clero, in quanto egli stesso ਠnella gerarchia religiosa poco importante. Egli deve aver capito che il suo potere poggia sul movimento di massa dei poveri delle città , mentre in cima ai Mujtahids dominano correnti a lui ostili. Pertanto ਠpensabile che egli, come gli Hezbollah libanesi, scarti il principio del Wilayat-e Faqih in modo più o meno tacito come impraticabile per l´Iraq e che spiani la strada verso una alleanza più stretta con le altre frazioni della resistenza.
Avendo accettato un posto nel Consiglio Provvisorio americano, il Partito Comunista Iracheno non ha alcun ruolo all´interno della resistenza. Esistono tuttavia alcuni gruppi comunisti scissionisti che sono impegnati nella lotta contro l´occupazione. Insieme con elementi social-rivoluzionari del nazionalismo sunnita e dell´islam politico sciita, che in Iran ha avuto senz´altro anche una corrente social-rivoluzionaria, essi potrebbero costituire l´ala di sinistra della resistenza. L´orientamento principale che si starebbe imponendo sarebbe quello di uno stato democratico in cui tutto il potere viene dal popolo, in sostanza dalle classi povere. Se un tale stato avesse anche una legittimazione islamica, ciಠpotrebbe loro addirittura convenire. Non vi sono in primo piano questioni culturali e religiose – in tal caso i compromessi dovrebbero senz´altro essere possibili – quanto piuttosto la contraddizione se, come in Iran, il clero vuole imporsi come sovrano o se la sovranità appartiene solo ed esclusivamente alle masse popolari.
Vienna 22 agosto 2003