di Dahr Jamail
Iraq: la devastazione
di Dahr Jamail
22 Jan 2005
La devastazione dell`Iraq? Da dove comincio? Dopo aver lavorato per sette degli ultimi dodici mesi in Iraq, io sono ancora sopraffatto persino al pensiero di dover descrivere questa devastazione. La guerra e l`occupazione illegale dell`Iraq sono state condotte per tre ragioni, stando all`amministrazione Bush. La prima, sono le armi di distruzione di massa, che non sono state ancora trovate. La seconda, perchà© il regime di Saddam Hussein intratteneva rapporti con Al Qaeda, cosa che non ਠmai stata provata, come ha ammesso personalmente anche Bush. La terza ragione, contenuta nel nome dato all`invasione “Operation Freedom Iraqi”, risiedeva nella volontà di liberazione del popolo iracheno.
Cosଠdunque, oggi, l`Iraq ਠun paese liberato.
Io ho vissuto a Baghdad liberata e nei suoi dintorni per dodici mesi, periodo durante il quale mi sono anche trovato all`interno di Fallujah durante l`assedio di aprile, e, più di una volta, i militari mi hanno sparato colpi di avvertimento che sono passati sopra la testa. Ho viaggiato nel sud, nel nord, e ovunque nel centro dell`Iraq. Ogni volta, quello che io ho visto nel corso dei primi mesi del 2004, all`epoca in cui era più facile per un giornalista straniero percorrere il paese, offriva una forte sensazione – spesso premonitrice – degli orrori che sarebbe venuti nel corso dell`anno (e, a colpo sicuro, anche nel 2005).
Vale la pena ritornare al primo semestre, ormai dimenticato, dell`anno scorso e di ricordarsi fino a che punto la situazione fosse orribile per gli iracheni, anche durante i primi tempi della nostra occupazione del loro paese. Per gli iracheni, all`epoca e ancora oggi, la nostra occupazione e la nostra invasione erano un affare di liberazione da: dai diritti dell`uomo (pensate: le atrocità commesse ad Abu Ghraib hanno tuttora luogo, lଠcome altrove), liberazione da una infrastruttura funzionante (pensate: oggi, l`approvvigionamento elettrico funziona molto male, e questo vale anche per gli innumerevoli chilometri di condotte del gas o le fogne a cielo aperto), di liberazione dalla possibilità di vivere interamente una città (pensate: Fallujah, oggi, la cui maggior parte ਠrasa al suolo dai bombardamenti aerei e da altri metodi di guerra).
All`epoca, gli iracheni erano già amareggiati, disorientati, costretti a vivere in una desolazione causata dalla miriade di promesse non mantenute dell`amministrazione Bush. Ogni iracheno liberato, per cosଠdire, che mi ਠcapitato di incontrare nei primi giorni del mio soggiorno nel paese, aveva un parente o un amico che era stato ucciso dai soldati americani o dagli effetti della guerra e dell`occupazione. Questi ultimi comprendevano delle cose talmente quotidiane della vita, come il fatto di non avere abbastanza soldi per il cibo o il combustibile, a causa della disoccupazione di massa e dei prezzi del combustibile in forte rialzo, o ancora gli altri innumerevoli orrori provocati dai fatti e dalle operazioni esposte prima.
Le promesse mancate, le infrastrutture distrutte e le città irachene distrutte, tutto questo era già nettamente visibile durante i primi mesi del 2004 e , cosa più triste, ਠche le devastazioni che io ho visto non hanno fatto che aumentare in peggio. L`esistenza che gli iracheni conducevano un anno fa, per quanto orribile, non era che un preludio di quello che sarebbe avvenuto sotto occupazione americana. I segnali di allarme erano chiari, dalle infrastrutture distrutte a tutte le torture, alla nascente resistenza armata.
Le promesse mancate
E` stato molto presto evidente, anche per un novellino del giornalismo, e anche nel corso dei primi mesi dell`anno scorso, che la natura reale della liberazione che noi portavamo all`Iraq non aveva nulla di nuovo per gli iracheni. Molto prima che i media americani decidessero che era tempo di rendere noto gli orrori che si perpetravano all`interno della prigione di Abu Ghraib, la maggior parte degli iracheni sapeva già che i “liberatori” del loro paese torturavano e umiliavano i loro connazionali.
Nel dicembre del 2003, a Baghdad, per esempio, un uomo mi ha detto, parlando delle atrocità di Abu Ghraib: “Perchਠricorrono a questo genere di azioni? Neanche Saddam faceva questo! Non ਠun buon comportamento. Non stanno liberando l´Iraq!”. E, a quell´epoca, gli amari giochi di parole sulla coalizione cominciavano già a circolare. Con questo humor nero che ਠdiventato cosଠpopolare a Baghdad oggi ,un detenuto di Abu Ghraib recentemente liberato mi ha dichiarato, durante l´intervista: “Gli americani mi hanno messo la corrente al culo prima di mettermela a casa!”.
Sadiq Zoman ਠun caso tipico di quello che io ho visto. Prelevato da casa sua a Kirkuk dalle forze americane nel luglio 2003, ਠstato detenuto in una prigione militare vicino Tikrit prima di essere ricoverato in coma all`ospedale generale Salahadin. Mentre il rapporto medico che lo accompagnava, firmato dal luogotenente colonnello Michael Hodges, dichiarava che Zoman era in stato comatoso dopo una crisi cardiaca causata da un colpo di calore, non menzionava che lo avevano colpito alla testa, n੠parlava dei segni di bruciature elettriche che coprivano il suo pene e le piante dei piedi, n੠delle numerose contusioni e segni di frusta che aveva su tutto il corpo.
Ho fatto visita a sua moglie Hashmiya e alle sue otto figlie in una casa quasi vuota. La maggior parte dei loro beni erano stati venduti per sopravvivere. Un ventilatore girava lentamente al di sopra del letto di Zoman che, lo sguardo assente, fissava il soffitto. Un piccolo generatore girava all`esterno, poichਠquesto quartiere, come quasi ovunque a Baghdad, non aveva che una media di sei ore di corrente al giorno.
Sua figlia Rhee, che andava al college, ha espresso tutti i sentimenti della famiglia quando ha detto: “Io odio gli americani per aver fatto questo. Quando hanno portato via mio padre, hanno portato via la mia vita. Io prego affinchà© prendiamo la nostra rivincita sugli americani, perchà© hanno distrutto mio padre, il mio paese e la mia vita”.
Nel maggio 2004, quando io sono andato da loro, un processo davanti la corte marziale contro uno dei soldati complici delle torture diffuse praticate sugli iracheni ad Abu Ghraid aveva appena avuto luogo. L`uomo era stato condannato ad una lieve pena, ma questo non aveva fatto nessuna impressione sugli iracheni. Si erano convinti una volta di più – non che ne avessero bisogno – che le promesse dell`amministrazione Bush di rivedere i suoi regolamenti per quello che concerneva il modo di trattare gli iracheni detenuti non erano meno vuote di quelle che erano state fatte a proposito dell`aiuto nella costruzione di un Iraq sicuro e prospero.
L`anno scorso, le vuote promesse di sottomettere alla giustizia il personale implicato in questi atti di odio, come le promesse di rendere la prigione di Abu Ghraib più` trasparente e accessibile, sono cadute sui parenti angosciati, che attendevano alle porte della prigione nella speranza di vedere i loro cari all`interno. Sotto un cocente sole di maggio, io sono andato nella “zona di attesa”, polverosa, lugubre, strettamente guardata e circondata da filo spinato, all`esterno di Abu Ghraib.
Lଠho ascoltato l`orrore di una storia dopo un`altra che raccontavano i parenti tristi, raccolti con ostinazione su questo pezzo di terra battuta, sperando ancora malgrado tutto che gli venisse accordata la visita a uno dei loro cari in questo orribile edificio.
Vestito con il suo dishdasha bianco, accovacciato sul fango indurito, con la sua sciarpa che si agitava mollemente nel vento secco e caldo, Lilu Hammed aveva lo sguardo imperturbabilmente fissato sulle alte muraglie della prigione vicina, come se tentasse di intravedere suo figlio di 32 anni, Abbas, attraverso i muri di cemento. Quando il mio interprete Abou Talat gli chiede se vuole parlare, trascorrono alcuni secondi prima che Lilu giri lentamente la testa e dica molto semplicemente: “Io sono seduto qui sulla terra, e aspetto l`aiuto di Dio”. Suo figlio, senza essere mai stato accusato di nulla, era trattenuto ad Abu Ghraib da sei mesi dopo che un raid nella sua casa non aveva permesso di trovare la benchà© minima arma. Lilu aveva un biglietto di autorizzazione alla visita tutto stropicciato che aveva ottenuto e che gli prometteva di poter visitare suo figlio… tre mesi più tardi, il 18 agosto.
Come tutte le persone che ho interrogato sul posto, Lilu non aveva trovato consolazione nà© nel recente processo alla corte marziale, nà© nella liberazione di qualche centinaio di prigionieri. “Questa corte marziale ਠun`assurdità , Dicevano che gli iracheni avrebbero potuto assistere al processo, ma cosi non ਠstato. E` stato un falso processo”. In quel momento un Humvee carico di soldati, le armi puntate fuori dalle piccole feritoie, passa rumoreggiando attraverso l`entrata principale del complesso penale, sollevando una spessa nuvola di polvere che avvolge rapidamente tutti. La madre di un altro prigioniero, la signora Samir, allontanando con le mani la nuvola di polvere, dichiara: “Noi speriamo che il mondo intero possa vedere la situazione nella quale ci troviamo attualmente”, prima di aggiungere, lamentosamente “perchà© ci fanno questo?”
L`estate scorsa, avevo intervistato una donna di 55 anni, molto gentile, che lavorava come professoressa di inglese. Era stata imprigionata quattro mesi in tante prigioni……. a Samarra, Tikrit, Baghdad, e naturalmente Abu Ghraib. Non le era mai stato permesso di dormire per una intera notte. Era stata interrogata a diverse riprese ogni giorno, le davano poco cibo e acqua, non aveva potuto vedere un avvocato, nà© la sua famiglia. Avevano abusato di lei verbalmente e psicologicamente . Ma questa , mi aveva assicurato, non era la parte peggiore. Neanche alla lontana. Suo marito, 70 anni, era stato anche lui imprigionato e picchiato.
Dopo sette mesi di botte e di interrogatori, era morto in prigione, sotto custodia militare americana. Piangeva parlando di lui. “Mio marito mi manca”, singhiozzava, e si ਠalzata in piedi parlando non a noi ma alla stanza “Mi manca tanto”. Teneva le mani in alto come a raccogliere un getto d`acqua,,, poi si metteva le mani al petto e piangeva ancora più forte. “Perchà© ci fanno questo?” chiedeva. Semplicemente, non poteva capire che cosa fosse successo perchà©´ due suoi figli fossero detenuti anch`essi e la sua famiglia fosse stata completamente dispersa. “Noi non abbiamo fatto niente di male”, diceva con dolore.
Una volta terminata l`intervista, stavamo camminando verso la nostra macchina per andarcene, quando abbiamo realizzato che erano le dieci di sera, e che era già molto tardi per essere fuori, per le strade di Baghdad, molto pericolose. La donna ci chiedeva con insistenza se volessimo restare a cena, continuando a ringraziarmi per avere ascoltato la sua storia orribile, per averle dedicato del tempo e per scrivere. Io ero rimasto senza parole.. “No grazie, dobbiamo rientrare adesso”, ha risposto Abu Talat. In quel momento, eravamo tutti sul punto di piangere. Nella macchina, mentre viaggiavamo veloci lungo un autostrada di Baghdad, andando incontro alla luna piena, Abu e io eravamo in silenzio.
Alla fine, mi ha chiesto: “Hai qualche parola da dirmi? Hai qualche parola?”. Non le avevo, neanche una.
La distruzione delle infrastrutture
In tutto l`Iraq, c´à¨ uno scenario di infrastrutture distrutte e di assenza quasi completa di ricostruzione. Quello che gli americani fanno ancora meglio, una volta di più, sono le promesse – e la loro propaganda. Durante il periodo in cui l`autorità provvisoria della coalizione dirigeva l`Iraq dalla Zona verde di Baghdad, i loro volantini erano redatti come questo, uscito il 21 maggio 2004: “L`autorità provvisoria di colazione ha recentemente distribuito centinaia di palloni da calcio ai bambini iracheni di Ramadi, Kerbala e Hilla. Le donne irachene di Hilla hanno cucito i palloni, ornati dalla frase “Tutti, partecipiamo al Nuovo Iraq”.
Tuttavia, quando furono gettate le basi del Nuovo Iraq, la disoccupazione era al 50% e in aumento, i migliori quartieri di Baghdad disponevano di una media di sei ore di elettricità al giorno, e non c`era sicurezza in nessun luogo. Anche tornando fino al lontano gennaio 2004, prima che la situazione di insicurezza incidesse sulla maggior parte dei progetti di ricostruzione fino alla quasi paralisi attuale, e nove mesi dopo la fine ufficiale della guerra in Iraq, la situazione rasentava già la catastrofe. Per esempio, la penuria d`acqua potabile era divenuta normale in quasi tutta la totalità dell`Iraq del centro e del sud.
All`epoca, io lavoravo ad un rapporto che cercava di mostrare esattamente quello che era stato ricostruito nel settore dell`acqua – un settore di cui Bechtel era in gran parte responsabile. Quella multinazionale si era vista accordare un contratto fuori gara, da 680 milioni di dollari il 17 aprile 2003, importo che a settembre fu aumentato a 1,03 miliardi di dollari. In seguito Bechtel otterrà un contratto supplementare di 1,8 miliardi di dollari per estendere il suo programma fino a dicembre 2005.
All`epoca, quando era più facile viaggiare per i giornalisti occidentali, mi sono fermato durante il mio viaggio in molti villaggi a sud di Baghdad, in quello che gli americani chiamano oggi il “triangolo della morte”, nella direzione di Hilla, Najaf e Diwaniyah, allo scopo di verificare la situazione dell`acqua potabile di questa gente. Nelle vicinanze di Hilla, un vecchio dal viso segnato dal tempo mi mostra la sua pompa dell`acqua, vicina ad un serbatoio vuoto: non c`era elettricità . L`acqua di cui disponeva il suo villaggio era carica di sale che si riversava nella condotta dell`acqua perchà© Bechtel non aveva tenuto fede al suo obbligo contrattuale che consisteva nel rimettere a posto un centro di depurazione dell`acqua lଠvicino.
Un altro villaggio non aveva il problema del sale, ma i casi di nausea, diarrea, calcoli renali, crampi e persino casi di colera erano sempre più frequenti. Questa sarebbe diventata una costante degli altri villaggi che ho visitato.
Il resto di questo viaggio diventಠun giro frenetico dei villaggi. Nessuno aveva acqua potabile, in prossimità o nei limiti urbani di Hilla, Najaf et Diwaniya. Hilla, vicino all`antica Babilonia, dispone di un nuovo sito di trattamento dell`acqua e di un centro di distribuzione diretto dall`ingegnere capo Salmam Hassan Kadel. Kadel mi ha informato che la maggior parte dei villaggi sotto al sua competenza non avevano acqua potabile e che lui non disponeva delle tubature necessarie per riparare il sistema idrico completamente distrutto, e inoltre non aveva contatti con Bechtel o le sue ditte subappaltatrici. Mi parlಠdi grandi numeri di persone che andavano in giro con la lista abituale delle malattie. “Bechtel”, mi disse “spende tutti i suoi soldi senza fare il minimo studio”.
“Bechtel ridipinge gli edifici ma questo non dà acqua potabile alle persone che sono morte per aver bevuto acqua contaminata. Al posto di dipingere gli edifici, gli chiediamo di darci una sola pompa ad acqua e noi l`utilizzeremo per portare l`acqua a più persone. Niente ਠcambiato da quando gli americani sono qui. Noi sappiamo che Bechtel spreca i soldi, ma non possiamo provarlo”.
In un altro piccolo villaggio tra Hilla e Najaf, 1500 persone bevevano l`acqua di un ruscello sporco che scorreva lentamente in prossimità delle loro abitazioni. Tutti soffrivano di dissenteria, molti avevano calcoli renali e un numero crescente soffriva di colera. Un contadino, tenendo in braccio un bambino malato, mi ha detto: “Era molto meglio prima dell`invasione. Noi avevamo 24 ore di acqua corrente, all`epoca. Oggi, noi beviamo questa immondizia, perch੠ਠtutto quello che abbiamo”.
La mattina dopo mi trovavo in un villaggio nei sobborghi di Najaf e che era sotto la responsabilità del centro delle acque di quella stessa città . Una larga buca era stata scavata nel terreno dove gli abitanti raccoglievano l´acqua deviandola dalle tubature esistenti. La buca veniva riempita di notte, quando c´era l´acqua. Quel mattino i bambini gironzolavano intorno alla buca mentre le donne raccoglievano i residui di acqua sporca sul fondo. Tutti sembravano soffrire di qualche malattia provocata dall`acqua e diversi bambini, mi dissero gli abitanti, erano morti tentando di attraversare una grande strada molto trafficata che portava ad una fabbrica dove, in effetti, si poteva trovare acqua potabile.
A giugno, sei mesi più tardi, ho visitato l`Ospedale Chuwader che, all`epoca, trattava 3000 pazienti al giorno a Sadr City, il gigantesco quartiere povero di Baghdad. Il dottor Qasim al-Nuwesri, direttore principale del posto, si mise prontamente a descrivermi le battaglie condotte dal suo ospedale sotto l`occupazione. “Noi manchiamo di qualsiasi medicina”, disse, e sottolineಠcome la cosa fosse molto rara prima dell`invasione. “Sarebbe proibito, ma talvolta noi riutilizziamo le siringhe, anche gli aghi. Non abbiamo scelta”.
E poi, naturalmente, come altri medici a cui ho parlato, ha messo sul tappeto il problema enorme dell`acqua, l`indisponibilità di acqua non contaminata in tutta la regione. “Ovviamente, abbiamo tifo, colera, calcoli renali”, disse prosaicamente, “ma adesso abbiamo persino l`epatite più rara, quella di tipo E…… che ਠdiventata comune nella nostra zona”.
Lasciando le strade riempite di acque di scarico e disseminate di immondizia di Sadr City, superammo un muro sul quale era stato scritto con una bomboletta spray ” Vietnam Street”. Poco sotto, c`era la frase successiva, destinata senza alcun dubbio ai liberatori americani, “Scaveremo le vostre tombe in questo posto”.
Oggi, in tema di crollo delle infrastrutture, altre zone di Baghdad cominciano a soffrire allo stesso modo in cui ha sofferto (e soffre ancora oggi) Sadr City all`epoca. Mentre i progetti previsti per la ricostruzione di Sadr City hanno visto l´incremento dei loro fondi, il più delle volte non c`ਠnessun segno di interventi fatti ed ਠla regola nella maggior parte di Baghdad. Mentre la persistente crisi del carburante obbliga le persone ad aspettare due giorni per riempire li loro serbatoi alle pompe di benzina, l`insieme della città funziona la maggior parte del tempo per mezzo di generatori e molte zone meno favorite, come Sadr City, non dispongono che di quattro ore di elettricità al giorno.
Le città distrutte La tattica della mano pesante delle forze di occupazione ਠdiventata un fatto abituale nella vita in Iraq. Ho intervistato persone che dormono regolarmente vestite di tutto punto per via del fatto che i raid nelle case sono ormai la norma. Molto spesso, quando delle pattuglie militari sono attaccate dai combattenti della resistenza nelle città irachene, i soldati aprono semplicemente il fuoco in tutte le direzioni e su tutto quello che si muove. Più comunemente, le pesanti perdite civili sono imputabili ai raid aerei della forze di occupazione.
Questa azioni orribili hanno provocato più di centomila perdite di vite umane civili tra gli iracheni in meno di due anni di occupazione. Poi c`ਠFallujah, una città i cui tre quarti oggi hanno subito dei bombardamenti o sono in ridotti in rovina, una città tra le cui rovine ancora continuano i combattimenti anche se la maggior parte dei residenti attendono ancora l`autorizzazione per rientrare nelle loro case (di cui molte non esistono più).
Le atrocità commesse in questa città , in questi ultimi tempi, sono in buona parte simili a quelle osservate durante l`assedio fallito della città da parte dei marines americani nello scorso aprile, solo su una scala più grande. Inoltre, questa volta, racconti di famiglie dall`interno della città , cosଠcome le prove fotografiche, accusano l`esercito americano di essersi servito di armi chimiche e al fosforo, cosଠcome di bombe a frammentazione. I pochi residenti che sono stati autorizzati a rientrare nelle loro case nel corso dell`ultima settimana del 2004 si sono visti rifilare dei volantini redatti dall`esercito che spiegavano loro di non consumare nessun cibo proveniente dalla città e di non bere acqua.
Nel maggio scorso, all`ospedale generale di Fallujah, dei medici mi hanno parlato dei tipi di atrocità che si sono verificate durante il primo assedio di un mese della città . Il dottor Abdul Jabbar, un chirurgo ortopedico, mi ha dichiarato che era difficile ricordarsi del numero delle persone che aveva curato, cosଠcome del numero dei morti, vista l`assenza di documentazione.
Tutto questo era stato causato in primo luogo dal fatto che il principale ospedale, situato sulla riva opposta del fiume Eufrate, era stato isolato dai marines per la maggior parte del mese di aprile, come lo sarebbe stato ancora nel mese di novembre 2004. Lui calcolava che almeno 700 persone fossero state uccise a Fallujah nel corso del mese di aprile. “Ho lavorato in cinque centri (cliniche comunitarie di sanità ) e se raccogliamo le cifre di questi luoghi, arriviamo a questo numero”, dice. “E tenete anche conto che molta gente ਠstata sepolta prima di raggiungere i nostri centri”.
Quando il vento si ਠmesso a soffiare dal vicino quartiere di Julan , l`odore putrido dei corpi in decomposizione (un fetore evidentemente tipico della città , una volta di più) non ha fatto che confermare questa dichiarazione. Anche in questa occasione, il dottor Jabbar insisteva sul fatto che gli aerei americani avevano sganciato bombe a frammentazione sulla città . “Molta gente ਠstata uccisa o ferita dalle bombe a frammentazione. Ma ਠsicuro che le abbiano utilizzate. Noi lo abbiamo sentito tanto quanto le persone che curavamo e che erano state colpite da queste!”
Il dottor Rashid, un altro chirurgo ortopedico, ha dichiarato: “Almeno il sessanta per cento dei morti erano donne e bambini. Potete andare voi stessi a vedere le loro tombe”. Avevo già visitato il cimitero dei Martiri e avevo in effetti notato le numerose tombe minuscole che, manifestatamene, erano state scavate per dei bambini. Lui era d`accordo con il dottor Jabbar a proposito delle bombe a frammentazione e aggiunse: “Io ho visto queste bombe a frammentazione con i miei occhi. Non abbiamo alcun bisogno di prove. La maggior parte delle bombe sono cadute sulle persone che noi abbiamo curato allora”.
Ricordando la crisi sanitaria che il suo ospedale aveva dovuto affrontare, faceva notare che durante i primi dieci giorni dei combattimenti, i militari americani non permettevano assolutamente nessuna evacuazione di Fallujah verso Baghdad. “Anche il trasferimento dei pazienti all`interno della città era impossibile. Potete vedere le nostre ambulanze all`esterno. I loro cecchini hanno sparato anche sul portone principale di uno dei nostri centri”. E in effetti diverse ambulanze erano nel parcheggio dell`ospedale, e due di loro avevano dei fori di pallottole nel parabrezza. I due dottori dichiaravano che non erano stati contattati dai militai americani e che l`esercito non aveva fornito loro il minimo aiuto.
Il dottor Rashid riassunse la situazione in questo modo: “Mandavano soltanto le bombe, e non le medicine”. Mentre stavo ritornando alla nostra macchina, ad un certo punto in mezzo a quella che era già la desolazione di Fallujah, un uomo mi prese le braccia e mi gridà²: “Gli americani sono dei cowboy! Questa ਠla loro storia! Guardate quello che hanno fatto agli indiani! Il Vietnam! L`Afghanistan! E adesso, l`Iraq! Questo non ci sorprende affatto!”.
E questo, naturalmente, succedeva prima dell`assedio totale della città , nel novembre 2004. La campagna di aprile a Fallujah, che ha avuto come risultato una intensificazione della resistenza, si era rivelata – come molte della cose che sono successe nei primi mesi del 2004 – non essere altro che un assaggio di avvenimenti che si sarebbero prodotti su ben altra scala. Sebbene lo scopo dell`ultimo assedio fosse stato di schiacciare la resistenza e di offrire una più grande sicurezza alle elezioni previste per il 30 gennaio, il risultato, come in aprile, ਠstato tutto, tranne la sicurezza.
Sulla scia della distruzione di Fallujah, i combattimenti si sono molto semplicemente estesi e intensificati ovunque. Famiglie fuggono oggi da Mosul, la terza più grande città dell`Iraq, a causa degli avvertimenti su una prossima campagna aerea lanciata contro i combattenti della resistenza. Una autobomba almeno al giorno, ਠla regola della capitale. Esplosioni si fanno sentire con una regolarità mortale in tutta Baghdad allo stesso modo che nelle città come Ramadi, Samarra, Baquba e Balad. L`intensificazione la si riscontra nei due campi.
Ad ogni rilancio della violenza, la tattica dei militari americani non fa che indurirsi e , quando lo fanno, la resistenza, dal suo canto, si accresce tranquillamente in ampiezza e efficacia. Ogni forma di “assedio” verso Mosul non farà che intensificare questa dinamica.
Malgrado un black-out dei media nel periodo successivo al recente assalto contro Fallujah, le storie dei cani che divoravano i cadaveri nelle strade della città e le storie delle moschee distrutte si sono sparse nell`Iraq come un lampo e i racconti di questo genere non fanno che sottolineare quello che la maggior parte della gente in Iraq crede oggi – che i liberatori sono diventati nà© più nà© meno che i brutali occupanti imperialisti del loro paese. E allora, la resistenza cresce e si rafforza . Tuttavia, tra gli iracheni, era da molto che si era predetto questo aumento della resistenza.
Un momento rivelatore per me avvenne il giugno scorso con le quotidiane vetture suicida a Baghdad. Quando le sequenze che mostravano le macchine coi in vetri in frantumi e la carrozzeria bucata da pallottole apparvero sugli schermi televisivi, il mio traduttore, un uomo di una certa età che era già esausto di questa violenza, mi disse lentamente: “E` cominciato. Non ਠche l`inizio, non si fermeranno. Neanche il 30 giugno”.
Il 30 giugno, ovviamente, era la data del passaggio di “sovranità “, promesso da molto, ad un nuovo governo, dopodichà©, predicevano con fervore gli alti responsabili americani, la violenza nel paese sarebbe diminuita. Lo stesso esempio di previsioni e realtà discordante lo si puಠvedere oggi per quello che riguarda le elezioni. Tre settimane fa uno dei miei amici, uno sceicco di Baquba, mi ha fatto visita a Baghdad e noi abbiamo pranzato con Abdullah, un anziano professore che ਠuno dei suoi amici.
Mentre mangiavamo, Abdullah ha espresso un sentimento che si sente spesso, di questi tempi: “I mujaheddin, combattono per il loro paese contro gli americani. Questa resistenza ਠaccettabile, ai nostri occhi”. Recentemente, l`amministrazione Bush ha accresciuto i suoi effettivi in Iraq, portandoli da 138.000 uomini a 150.000 – allo scopo, dicono i funzionari, di assicurare una maggior sicurezza nel corso delle prossime elezioni. Lo stesso aumento di effettivi aveva avuto luogo in Vietnam.
All`epoca, questo si chiamava questo escalation. Quello che io mi chiedo, à¨: io scriverಠun prossimo articolo che chiamerಠancora “Iraq, la devastazione” nel quale questi terribili ultimi mesi del 2004 (e di cui il primo semestre dell`anno non era che un antipasto) non si riveleranno a loro volta che una previsione dei nuovi orrori a venire?
E che succederà allora nel 2006 o nel 2007?
Dahr jamail
(antiwar.com)
traduzione di Paola Mirenda
redazione@reporterassociati.org
Nota: “Dahr jamail ਠun giornalista indipendente di Anchirage, in Alaska. Ha passato sette degli ultimi dodici mesi a fare reportage dall´Iraq occupato. I suoi articoli sono stati pubblicati da The Sunday Herald, Inter Press Service, sul web site del Nation Magazine e sul sito di informazioni New standard, per conto del quale ਠcorrispondente dall´Iraq. E´ stato anche l´inviato speciale in Iraq della radio FlashPoint , di Free Speech Radio News e radio South Africa”.