Questo Notiziario contiene:
1. LIBANO, AFGANISTAN, VICENZA
Tutte le strade portano a Roma
2. PEGGIO DI BERLUSCONI
Il governo Prodi premia (e protegge) l’inquisito Pollari
3. O LA VA O LA SPACCA?
Cosa cambia, in Iraq e nel mondo, se ci sara’ un’escalation americana contro l’Iran
4. KOSOVO: NON SE NE PARLA NEMMENO
L’U.E. e il vecchio vizietto dei protettorati coloniali
1. LIBANO, AFGANISTAN, VICENZA
Tutte le strade conducono a Roma
Dove sta la vera forza del movimento vicentino contro la megabase americana a Dal Molin? Che esso non si limita a respingere una base militare in virtu’ di astratti presupposti pacifisti. Esso sta molto piu’ avanti. Contesta la sudditanza italiana verso gli USA, mette e nudo che siamo un paese a sovranita’ limitata, rivendica la piena sovranita’ nazionale, smaschera il governo Prodi come servo dei guerrafondai americani, tira fuori dalle catacombe i sentimenti antiamericani della parte sana del popolo italiano. Per questo, esso sale sulle spalle e sorpassa i defunti e melliflui movimenti per la pace, sia in radicalita’ di contenuti sia in fatto di influenza di massa. E’ molto probabile che questo movimento non la spuntera’. Che alla fine la mega base sara’ fatta. Ma esso lascera’ il segno, avra’ nutrito la pianta dell’antimperialismo e dell’antiamericanismo, quella pianta che la Santa Alleanza centro-sinistra-destra si illudeva di avere finalmente estirpato dopo averla a lungo satanizzata.
Lo stesso governo Prodi che su Ederle ha tirato diritto calpestando le opinioni contrarie di gran parte dei propri stessi elettori pur di rispettare gli impegni di Berlusconi, deve chiedere nelle prossime settimane il voto favorevole sia alla missione militare in Afganistan che a quella in Libano. Si tratti di Kabul, di Beirut o di Vicenza la musica non cambia: questo governo e’ deciso a seguire il suo padrone d’olteoaceano. L’ala sinistra del centro-sinistra recalcitra, si agita. Chi si fa illusioni sbattera’ la testa. I cosiddetti “dissidenti”, alla fine, veranno messi con le spalle al muro. Come nei mesi scorsi verranno ricattati col voto di fiducia, non oseranno far cadere il governo Prodi. Una polarizzazione e’ inevitabile. Le prossime settimane lo dimostreranno. Chi prende sul serio la battaglia per tirar fuori l’Italia dalla guerra permanente dichiarata dagli USA allo scopo di consolidare il proprio impero, non solo voltera’ le spalle a Prodi, abbandonera’ i “dissidenti” al loro destino di reggitori del moccolo.
Una fase si e’ chiusa, una nuova si apre. Alla disfatta dei pacifisti di regime (pacifinti) corrispondera’ una ripresa dell’opposizione anticapitalista, di quelle forze politiche e sociali che in questi ultimi anni, sormontando tante difficolta’, sul solco di antiche radici ideali, hanno difeso come insindacabili tre punti: (1) Rifiuto delle missioni miltari occidentali come missioni imperialiste, anche quando mascherate come di pace o sotto egida ONU; (2) Sostegno alle resistenze dei popoli oppressi in lotta contro ogni tipo di aggressione e occupazione imperialista; (3) Nessun appoggio ai governi schierati con l’Impero contro le Resistenze sulla base dell’inganno della lotta al terrorismo.
Entriamo in un periodo in cui chi si e’ tenuto alla larga da Prodi, chi non ha barattato le proprie idee con strapuntini istituzionali, avra’ l’occasione per uscire dall’angolo, per far sentire piu’ forte la propria voce, facendo cosଠfare un grande salto in avanti a tutta l’opposizione politica anticapitalista. Siamo in una fase delicata in cui non sono ammessi errori. Due gli errori principali da evitare. Il settarismo ideologico che per sua natura impedisce all’opposizione di diventare di massa; e il tatticismo, che in nome di successi immediati e’ disposto agli inciuci sui contenuti. E’ vero che movimenti di massa non sorgono senza ampie alleanze. Pero’ i contenuti hanno precedenza sull’ampiezza. In questo momento e’ piu’ che mai vero che tutte le strade conducono a Roma. La coalizione di Prodi non solo ricatta gli italiani con lo spauracchio del titorno di Berlusconi; essa punta una pistola sulla tempia di ogni eventuale movimento: “o con noi o contro di noi”. Con questa mossa, non lasciando spazio a posizioni mediane o equivoche, il governo ha stabilito per primo quale sara’ il campo di battaglia, convinto che imponendo questo terreno riuscira’ ad inibire l’insorgenza di un’opposizione popolare anticapitalista e antimperialista.
Questa in effetti e’ la grande sfida. Ogni movimento, anche parziale, sbattera’ il muso contro il governo e la rete di alleanze che lo sostiene. Un movimento, tanto piu’ se osera’ sfidare la sua politica estera, o sara’ contro Prodi o non sara’. Non ci saranno inciuci che tengono.
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2. PEGGIO DI BERLUSCONI
Il governo Prodi premia (e protegge) l’inquisito Pollari
Proprio a ridosso della udienza preliminare che doveva decidere di portare a processo l’ex capo del SISMI (sequestro del 17 febbraio 2003 del cittadino egiziano Abu Omar), il Consiglio dei Ministri, di soppiatto, ha deliberato di insignire l’inquisito della prestigiosa carica di Consigliere di Stato. La proposta e’ stata fatta dallo stesso Prodi. Un atto di alto valore simbolico, che la dice lunga su quanto profonda sia la continuita’ tra questo governo e il precedente, anzitutto riguardo al fatto che i cosiddetti servizi di sicurezza e spionaggio italiani erano, sono e dovranno essere alle dirette dipendenze del padrone americano. Un atto doppiamente scandaloso e in perfetto stile Berlusca (ricordate le leggi ad personam per salvare i vari Previti e C.?), visto che e’ un tentativo di sottrarre il Pollari alla grinfie di una giustiza che quando accusa uno sbirro di qualche crimine trova la pronta opposizione del potere esecutivo. Vi chiederete: ma la “sinistra radicale” si e’ opposta a questa decisione? Non risulta, risulta anzi che la proposta di Prodi e’ stata fatta all’unanimita’. La quinta ruota del carro si e’ adeguata al traino e non ha fiatato, ne’ fuori ne’ dentro il Consiglio dei Ministri.
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3. O LA VA O LA SPACCA?
Cosa cambia, in Iraq e nel mondo, se ci sara’ un’escalation americana contro l’Iran
Il totale fiasco della strategia di Bush e dei Neocon in Iraq ha aperto dentro l’establishment americano uno scontro da cui dipende l’evoluzione della situazione internazionale. A quelli, non solo i democratici, che ritengono che ci sia bisogno di una svolta e di un appeasement, Bush ha risposto radicalizzando la sua politica guerrafondaia. Aumento dei soldati in Iraq (+ 21.500), esonero dei capi militari e dei servizi di sicurezza a lui recalcitranti, adozione di un piano offensivo antiguerriglia che prevede l’attacco non piu’ solo alla Resistenza antimperialista ma pure alle milizie popolari sciite come quelle di Moqtata al-Sadr. Il piano contempla anche la cacciata del primo ministro iracheno al-Maliki per sostituirlo col piu’ docile al-Hakhim. Il fallimento della politica di occupazione americana in Iraq e’ infatti duplice. Da una parte gli americani non sono riusciti a fermare la crescita della Resistenza (che anzi ha rafforzato le sue roccaforti, conquistato nuove zone e finalmente avviato un deciso processo di unificazione nel Fronte Nazionale Patriottico Islamico -FNPI). D’altra parte non sono riusciti nemmeno ad addomesticare le forze sciite, la cui gran parte, lungi dal seguire supinamente i dettami della Casa Bianca, hanno consolidato I loro legami con l’Iran di Khamenei e Ahmadinejad. Abbiamo detto piu’ volte e lo ripetiamo: l’invasione dell’Iraq non sarebbe stata pensabile senza il semaforo verde di Tehran. Lo abbiamo detto e lo ripetiamo: L’Iran ha avallato l’aggressione all’Iraq. Ma lo ha fatto per sfamare i suoi propri appetiti di potenza regionale, non per amore degli americani. Questi ultimi speravano che una rapida vittoria militare gli avrebbe pernesso, non solo di escludere l’Iran dai giochi e di isolare le formazioni sciite antiamericane. La Casa Bianca aveva invaso l’Iraq nella convinzione che avrebbe avuto poi gioco facile a piegare gli iraniani e cosଠfavorire un cambio di regime.
Ma anche qui Bush ha miseramente fallito. A Tehran il potere e’ passato dalla frazione moderata a quella piu’ radicale e nazionalista, mentre di riflesso, in Iraq, le formazioni sciite filoiraniane sono diventate molto pu’ forti di quelle filoamericane. Ecco dunque spiegata la volonta’ di riscattare il fiasco con una escalation militare che punta direttamente ad aggredire l’Iran. Non ci soffermiamo sui dettagli (gia’ trapelati) di questo attacco. Non essendo pensabile un’invasione in stile iracheno, il Pentagono pensa ad una terrificante campagna di bombardamenti aereo-missilistici stile Iugoslavia ’99, allo scopo di distruggere gran parte del potenziale militare e industriale iraniano, non solo delle centrali nuclaeri. Il tutto nella convinzione di indebolire e destabilizzare il paese, quindi di produrre il tanto agognato regime change.
I commentatori nordamericani concordano che Bush il megalomane vede in questa escalation la sola possibilita’ di non essere travolto nel fango, di passare alla storia come architetto e condottiero del nuovo impero a stelle e striscie. Impero che implica spianare tutti gli ostacoli sulla via del famigerato Nuovo Medio Oriente. In questa prospettiva si spiegano l’ordine di catturare vivi o morti gli agenti iraniani in Iraq (cosଠda provocare Tehran e avere un pretesto clamoroso per l’attacco), l’appoggio a Israele, la richiesta di soccorso all’Europa in Libano. Due gli argomenti propagandistici forti per ottenere il consenso dell’opinione pubblica americana e mondiale (ben piu’ consistenti di quelli usati contro l’Iraq di Saddam): l’Iran sta costruendo l’atomica (minacciando non solo Israele ma pure i dirimpettai arabi) e sostiene il terrorismo (lo zelante Guido Olimpio, sul Corriere, sostiene da anni la colossale cazzata che Tehran starebbe dietro al qaedismo – sic!).
Che questo voglia Bush prima che scada il suo mandato e che i piani siano pronti non c’e’ dubbio. Altro e’ che il grande dittatore riesca a passare dalle minacce ai fatti. Egli deve superare le resistenze di gran parte del potere politico e militare nordamericano, nonche’ quelle dei suoi alleati europei. Per quanto riguarda i satrapi arabi, sauditi in testa, questi li ha gia’ dalla sua parte.
Per vedere se il possibile attacco all’Iran diventera’ altamente probabile lo sapremo nei prossimi mesi. E’ certo che esso incendiera’ il Medio Oriente e terremotera’ la situazione mondiale. Fara’ tremare molti governi europei, italiano compreso, che dovranno fare I conti con grandi movimenti contro la guerra che stavolta saranno piu’ antimperialisti che pacifisti o equidistanti.
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4. KOSOVO: NON SE NE PARLA NEMMENO
L’U.E. e il vecchio vizietto dei protettorati coloniali
Entrati in Kosovo dopo una campagna di terrificanti bombardamenti a cui la Iugoslavia resistette fieramente, le truppe euro-americane permisero ai narco-nazionalisti dell’UCK di scatenare la caccia all’uomo contro i diversi gruppi non albanesi albanesi come pure contro tutti i cittadini cristiani, comunisti o genericamente di sinistra. A farne le spese anzitutto la minoranza piu’ forte, quella serba, che alla fine e’ stata annientata. La caduta di Milosevic, l’arrivo al potere a Belgradfo di forze politiche della destra liberista ha lasciato il campo libero agli squartatori della Iugoslavia. Il Kosovo amministrato dall’Unione Europea e dall’ONU, in realta’ lasciato dai generali della NATO in mano agli eredi dell’UCK, e’ diventata una zona etnicamente ripulita, ricettacolo di traffici criminali d’ogni tipo. Non ci credete? Citiamo il Corriere della Sera del 29 gennaio: “Sul Kosovo, grande quanto l’Abruzzo, sono piovuti solo negli ultimi anni 15 miliardi di dollari in aiuti internazionali: li hanno intascati le mafie. La disoccupazione e’ al 70%, il 50 % vive sotto la soglia di poverta’, il 15% con dieci euro al mese. In molti villaggi manca la luce 12 ore al giorno”. Il fallimento delle potenze che cacciarono Belgrado dal Kosovo non poteva essere piu’ clamoroso. Gli Accordi di Kumanovo del giugno 1999, successivamente sanciti dalle Nazioni Unite, impegnarono comunque la comunita’ internazionale e non infrangere l’unita’ di cio’ che restava della Iugoslavia, dando si ampia autonomia al Kosovo ma nell’ambito della federazione iugoslava. Adesso vien fuori che c’e’ un piano per strappare definitivamente il Kosovo alla Iugoslavia. L’UE pensa di governare essa, direttamente. Un protettorato coloniale di antica memoria che in effetti nasconde una secessione strisciante. Il Kosovo diventerebbe in poco tempo la prima repubblica amministrata dalla criminalita’ organizzata. D’Alema, il bombardatore della Serbia, e’ tra coloro che dubitano di questa soluzione. Non per chissa’ quali nobili ragioni. L’Italia imperialista fa ottimi affari con la Serbia, diventato il paese con i piu’ alti tassi di crescita dei Balcani, e non vuole mettereli a repentaglio. Sa che Belgrado e il popolo serbo non accetteranno mai questa pagliacciata e che se fosse messa in atto potrebbe riaccendere un incendio balcanico, anche visti i fragili equilibri in Bosnia, anch’essa tenuta a bada da decine di migliaia di soldati NATO.