In vista del corteo del prossimo 9 giugno, che si terrà in occasione della visita di Bush in Italia, si ਠsviluppato un dibattito all’interno delle stesse forze antimperialiste che – in vario modo – hanno espresso il loro dissenso rispetto al testo di convocazione della manifestazione.
Su questa vicenda potete leggere la posizione del Campo Antimperialista nell’ultimo notiziario.
Di seguito pubblichiamo invece la risposta che abbiamo dato a Roberto Massari di Utopia Rossa, dato che entra nel merito di diverse questioni che riteniamo di primaria importanza al fine di un’adeguata iniziativa e di una maggiore unità degli antimperialisti.
Caro Roberto, cari compagni di Utopia Rossa,
la lettera che ci ਠstata recapitata due giorni fa ci spinge ad una risposta articolata sui vari punti sollevati. In essa, infatti, si argomenta il vostro no ad uno schieramento unitario degli antimperialisti in occasione della manifestazione del 9 giugno con analisi e tesi che non ci convincono per niente.
I rapporti fraterni che abbiamo sviluppato in questi anni non ci esimono dal diritto-dovere di una risposta franca e netta.
1. Gli antimperialisti
Le differenze tra le tesi del Campo Antimperialista e quelle di Utopia Rossa sono assai evidenti. Si tratta tuttavia di divergenze note. Come sono note le nostre divergenze con altre organizzazioni che pure non possiamo non considerare antimperialiste.
In Italia – ci sarà una ragione – quando si dice “antimperialisti” si pensa immediatamente al Campo, ma non siamo cosଠsciocchi ed autoreferenziali da pensare di essere gli unici antimperialisti.
La proposta di una spezzone unitario voleva appunto unire realtà diverse ma che si pongono, in modi certamente diversi, sul terreno comune dell’antimperialismo. Lo stesso striscione proposto andava in quella direzione.
Ora il vostro no ਠnetto. Qui non si tratta del rifiuto delle posizioni del Campo, quanto piuttosto della negazione del valore della base unitaria proposta, e cioਠantimperialismo e sostegno alle Resistenze. E questo ci pare grave.
2. Le vicende del comitato organizzatore
E’ questa la prima questione di forma che ci viene contestata nella lettera. Noi ci saremmo allontanati dal coordinamento ex 30 settembre senza motivarne ufficialmente le ragioni.
Questo ਠsemplicemente falso.
Come ਠnoto noi abbiamo contestato il testo di convocazione della manifestazione di marzo perch੠nascondeva opportunisticamente le Resistenze dietro Vicenza, faceva scomparire il Libano dalla carta geografica (eppure era proprio sul Libano che il coordinamento era nato), delineava un percorso tendente alla ridislocazione su posizioni genericamente pacifiste, di cui la consegna della piazza agli umanisti in arancione ha rappresentato la perfetta sintesi politico-cromatica.
Su queste questioni vi sono stati almeno due messaggi miei a nome dei Comitati Iraq Libero ed altrettanti di Moreno a nome del Campo all’insieme del comitato organizzatore.
Non abbiamo avuto risposte ed abbiamo agito di conseguenza.
Troviamo dunque assurda la vostra polemica metodologica. Polemicamente scrivete che: <
Non lo abbiamo aggiunto perchà© rispettiamo chi ha deciso di fare la propria battaglia in forme diverse dalla nostra, ma se vogliamo stare ai fatti certo che possiamo dire di avere visto giusto, di avere letto correttamente ciಠche stava accadendo. I fatti di maggio, se cosଠvogliamo dire, sono figli di un’involuzione avviatasi già in autunno e messa nero su bianco già con la convocazione della manifestazione di marzo. Insomma, non c’ਠstato un golpe di maggio, ma solo il naturale sviluppo di un percorso già tracciato dalle forze principali del coordinamento. Da soli abbiamo preferito segnalare questa involuzione già a marzo. Non sarà una nota di merito, ma neppure ci sembra una colpa.
E poi, caro Roberto, se il 10 maggio hai scritto invitandoci a rientrare nel comitato organizzatore e l’11 avete deciso di uscirne anche voi, avremo forse avuto ragione su qualche cosa, oppure no?
3. A chi ਠstata rivolta la proposta
I diversi percorsi che abbiamo intrapreso da marzo non ci hanno portato ad alcuna particolare polemica.
Ritenevamo – e riteniamo – di avere compiuto una scelta giusta e corretta, ma questo non ci ha indotto a polemizzare con chi ha ritenuto più efficace una diversa condotta.
E’ anche per questo motivo che il Campo ha rivolto la sua proposta unitaria anche a forze che sono tuttora all’interno del comitato organizzatore.
Il criterio ਠstato quello di individuare una questione centrale e dirimente che per noi ਠquella delle Resistenze. Le Resistenze questa volta sono state completamente omesse dal testo di convocazione, e questo ਠil fatto più grave, il sintomo vero dell’involuzione in atto.
Abbiamo dunque scelto (come del resto ਠspiegato nella lettera) di rivolgerci a tutte quelle realtà politiche che formalmente sostengono le Resistenze antimperialiste.
D’altra parte non potevamo scegliere il criterio della collocazione o meno nel comitato. Campo Antimperialista ed Iraq Libero sono usciti a marzo, Utopia Rossa a maggio, i Carc sono stati di fatto estromessi in malo modo, il Pdac non ਠmai stato invitato, Pcl e Rete sono rimasti dentro, di Red Link non si sa. E’ evidente che il criterio della collocazione rispetto al comitato organizzatore non avrebbe avuto alcun senso.
Probabilmente tu, voi, fissereste il discrimine alla data dell’11 maggio, ma ho già spiegato che a nostro avviso maggio ਠfiglio di marzo, dunque questa discriminante sarebbe stata valida solo per Utopia Rossa.
Tutto questo ਠtanto più vero perchà© riteniamo che la vostra sacrosanta rottura sia avvenuta su un terreno assolutamente sbagliato. In breve, avete scelto – e questo per noi ਠsbagliato teoricamente ed assurdo politicamente – di contestare il concetto di subalternità dell’Italia verso gli Usa, piuttosto che la cancellazione totale di ogni riferimento alle Resistenze.
Sia chiaro che quando abbiamo inviato la proposta unitaria avevamo ben chiare le difficoltà di un suo accoglimento, ma la politica ਠfatta anche di passi, a volte piccoli, ma doverosi e necessari.
4. Italia subalterna o no?
Qui arriviamo al vero punto dolente.
Ci accusate di “deformazione non-marxista riguardo alla natura dell’imperialismo e degli imperialismi”, dato che consideriamo l’imperialismo americano come il nemico principale.
Lasciamo perdere il tono da scomunica, in verità assai ridicolo, com’ਠridicolo considerare la concreta strutturazione dell’imperialismo come immutabilmente definita una volta per tutte.
Lasciamo anche perdere alcune contorsioni verbali che cercano di farci dire cose che non pensiamo in alcun modo, come quella utilizzata per dire che penseremmo che: <
Chi ci ha mai sentito affermare, anche solo lontanamente, una simile sciocchezza alzi la mano.
Ma questa contorsione capziosa serve solo ad arrivare alla formuletta del 1914. Secondo Utopia Rossa la strutturazione dell’imperialismo ਠsempre quella. Niente di nuovo sotto il sole, dunque, e chi non lo capisce ਠun socialdemocratico, quasi certamente pronto al tradimento in combutta con i peggiori nazional sciovinisti di ogni risma.
Ma si puಠessere cosଠciechi?
Certamente il termine “imperialismo” definisce un’intera epoca storica, la base strutturale, la sostanza, le caratteristiche, le dinamiche di un sistema di dominio.
Ma i soggetti reali che agiscono in questo sistema, fondamentalmente gli Stati delle grandi potenze (intesi come apparati che connettono interessi economici, politici e geostrategici) disegnano strutturazioni diverse frutto del concreto divenire della storia.
Lasciamo perdere per un attimo il presente, e ci si dica ad esempio quale ortodossia marxista avremmo dovuto applicare al mondo di Yalta, che pure ਠdurato dal 1945 al 1989?
Non scherziamo, l’imperialismo inteso come sistema ha un’indubbia continuità storica, ma la struttura dei rapporti interni a questo sistema ਠcambiata eccome.
Nel 1914 le principali potenze imperialistiche erano ad un livello di potenza simile tra loro; tutte potevano partecipare alla guerra con la speranza di vincerla e di ricavarne vantaggi di vario tipo, Oggi ਠcos�
Nel 1914 l’elemento principale era la lotta tra queste potenze, cioਠlo scontro interimperialistico. Esiste qualcosa di simile oggi?
Certo, in futuro potremo avere nuove fasi policentriche, ma oggi – e per un periodo realisticamente ancora lungo – la strutturazione dell’imperialismo ਠassolutamente monocentrica. Il centro sta a Washington e gli altri imperialismi sono in posizione subalterna, in questo senso possiamo parlare di subimperialismi sottostanti ad un centro che agisce come super-imperialismo.
Super-imperialismo non nel senso kautskyano di un sistema ormai armonizzato al proprio interno, quanto piuttosto di un sistema gerarchizzato come mai avvenuto in precedenza nella storia.
Caso mai vediamo affiorare un certo kautskysmo proprio nelle vostre tesi, laddove si parla di Italia ed Usa come <
Forse basterebbe ricordarvi che mentre l’Italia ਠpiena di basi Usa (e non bastano ancora), non scorgiamo contingenti col tricolore negli Stati Uniti.
5. Il dominio americano
Questa negazione della subalternità dell’Italia, come del resto dell’Europa, agli Stati Uniti d’America non ਠsolo un grave errore politico, ਠla negazione di un senso comune che ha permeato – e non da oggi – l’antimperialismo nella coscienza di significativi settori di massa.
Non riusciamo davvero a capire come possano essere omessi i dati di fondo che fanno dell’imperialismo americano il soggetto di gran lunga dominante. Un dominio fortissimo nel campo militare, nonostante gli impantanamenti in Iraq ed Afghanistan che dimostrano non tanto una inesistente debolezza militare americana, quanto semmai la possibilità per le resistenze popolari di contrapporsi efficacemente con i metodi della guerriglia e della guerra partigiana. Un dominio altrettanto forte nel campo della politica, basti pensare al controllo di fatto delle grandi istituzioni internazionali (Onu in primo luogo); della cultura e di un’informazione sempre più americanizzata; del “diritto”, con la completa riscrittura in questi ultimi 5 anni della sostanza del diritto internazionale, fino ad arrivare al Military Commissions Act dell’ottobre scorso che sancisce la legalizzazione della tortura purchà© approvata dal presidente degli Stati Uniti.
Un dominio che viene rivendicato anche fuori dal pianeta, con la recente “Revisione della politica spaziale americana”, un documento licenziato senza clamori che stabilisce il primato statunitense nello spazio e che diffida e minaccia chiunque osasse mettere in discussione l’attuale supremazia.
Un dominio che appare relativamente più debole sul piano economico, ma la forza economica non ਠcerto legata ai semplici criteri di efficienza, di minimax, come vorrebbero farci credere, prendendoci per gonzi, i sacerdoti del “libero mercato”.
In realtà la supremazia negli altri campi garantisce anche una superiorità nel campo economico, non fosse altro per il ferreo controllo esercitato sugli organismi internazionali, dal Fmi, alla Banca Mondiale, al Wto.
6. Le basi militari
Potremmo continuare a lungo questi ragionamenti, con dati, esempi, eccetera.
Ci limitiamoci allora ad un aspetto che ha una indiscutibile attinenza con il concetto di imperialismo: le basi militari.
Se noi segnassimo con delle crocette su un mappamondo l’incredibile ragnatela delle basi americane nel mondo troveremmo queste croci in ogni continente, a varie latitudini, con forti concentrazioni in corrispondenza delle aree ad alto valore strategico.
Ma a questa osservazione assai banale dobbiamo far seguire una domanda assai retorica: esiste forse un’altra potenza con un sistema di basi all’estero? E’ esistita, dal 1945 al 1989. Oggi non c’ਠpiù.
Questo non ci dice niente su chi davvero comanda e chi in sostanza ubbidisce?
Naturale, che poi, anche i paesi subalterni (tra i quali l’Italia) si ritaglino a volte qualche spazio di autonomia. Ma nell’attuale sistema essa sarà sempre limitata e controllata dalla potenza centrale.
Certo, gli Usa non hanno basi in tutti i paesi del mondo, ma sono gli unici ad averle in molte nazioni ed in tanti luoghi strategici. Certo, essi non sono gli unici a disporre di una potenza distruttiva, ma sono gli unici (eventualmente insieme agli alleati più fedeli, vedi Israele) in grado di utilizzarla attualmente, con un monopolio della guerra, peraltro sancito dal nuovo “diritto” post 11 settembre, che ਠsotto gli occhi di tutti.
7. La questione della Resistenza
Anche qui, cari compagni, proprio non ci siamo.
E, detto francamente, l’impressione su questo punto ਠquella della classica arrampicata sugli specchi.
Roberto scrive infatti che non accetta: << l'idea che nelle manifestazioni anti-Bush e anti-Prodi per il 9 giugno la questione delle Resistenze venga collocata al primo posto>>.
Diciamo “arrampicata sugli specchi”, perchà© non possiamo certo mettere in dubbio il sincero sostegno alle Resistenze di Roberto e degli altri compagni.
Dunque c’ਠdell’altro.
Noi registriamo due fatti grossi come una casa:
1) La manifestazione del 9 giugno non ਠcontro Bush per la sua politica sociale, non ਠcontro Prodi per la sua linea sulle pensioni; ਠcontro Bush e contro Prodi, perchà© uno ha avviato e condotto la guerra infinita attraverso la quale gli Usa puntano al dominio planetario e l’altro si comporta da servile alleato in perfetta continuità con il precedente governo. Insomma, il 9 giugno sarà una manifestazione del movimento contro la guerra. Ma chi sta resistendo a coloro che questa guerra hanno scatenato? Chi se non le Resistenze? Chi sta mettendo concretamente in crisi il progetto imperialista, se non le guerriglie che combattono in Iraq, Afghanistan, Libano ecc?
2) Dunque, secondo Roberto, questa “questioncella” non meriterebbe il primo posto. Di grazia, quale posto gli spetterebbe allora? Il secondo, il terzo, il quarto? Non ci viene spiegato, ma quel che ਠcerto ਠche gli estensori del testo di convocazione del 9 giugno non gli hanno assegnato neppure il ventiseiesimo posto e non ci risultano prese di posizione di chi combatteva nel comitato promotore, mentre la rottura avveniva sulla questione della subalternità dell’Italia.
Lo ripetiamo: mai rottura più sacrosanta avvenne sul terreno più sbagliato.
Cancellare la Resistenza significa cancellare la forma principale (se non unica) di antagonismo alle classi dominanti oggi concretamente operante. Significa rifugiarsi in formulette distanti dalla realtà come la seguente: <
8. Le fusioni bancarie
Roberto, cogliendo l’occasione offerta dall’unificazione tra Unicredit e Capitalia, ci ricorda la forza dell’imperialismo italiano, la sua autonomia e vitalità .
Ora nessuno nega che i grandi gruppi italiani stiano cercando di difendere ed allargare i loro spazi. Lo fanno come lo fanno i gruppi tedeschi, francesi, inglesi, spagnoli eccetera.
Qui il discorso sarebbe davvero lungo, ma limitiamoci all’essenziale.
Posto che ਠovvio che anche una potenza sub-imperialistica come l’Italia cerchi di difendere le proprie posizioni e qualche volta punti anche ad allargarle, il primo elemento da cogliere ਠche questo presunto dinamismo avviene tutto nel cortile di casa. Le fusioni bancarie (quella citata, come quella precedente tra San Paolo e Banca Intesa) hanno significato più che altro una razionalizzazione all’interno dei confini nazionali, non un potenziamento della presenza all’estero.
Il secondo elemento ਠche anche quando c’ਠun certo dinamismo in alcuni settori, ad esempio in quello energetico, questo avviene con operazioni di acquisizioni all’interno dell’Europa che sono la conseguenza di una competizione intra-europea in un quadro di subalternità alla potenza imperialistica centrale.
Il terzo elemento ਠche la base economica complessiva dell’Italia ਠcomunque in una fase di crescente deterioramento da almeno 10 anni. In questo periodo la quota italiana sul commercio mondiale si ਠridotta di un quarto, i famosi Ide (investimenti diretti all’estero) hanno esaurito da tempo la loro espansione, interi settori strategici (si pensi al caso clamoroso delle telecomunicazioni) sono ormai in mano straniera.
Il quarto elemento ਠche, come abbiamo già detto, quel poco che si muove, si muove all’interno di un ambito europeo che ha visto il fallimento della costruzione politica dell’Europa, cioਠdel passo indispensabile per poter anche solo pensare ad una seria competizione con gli Usa.
Infine, il quinto elemento, per tornare alle banche. Nessuno puಠseriamente dubitare sul dominio della finanza americana, tant’ਠche la Goldman Sachs ha piazzato un proprio dipendente alla guida di Bankitalia. Ma c’ਠdi più, ed il di più sta nel ruolo di governo imperiale della finanza, della moneta e delle politiche economiche dei singoli stati esercitato da organizzazioni formalmente sovranazionali (Fmi, Bm, Wto) ma in realtà strettamente controllate da Washington.
Attenzione dunque dal farsi abbagliare da singole operazioni: ad esempio Enel ha acquisito Endesa e questo rappresenta un indubbio rafforzamento internazionale del gruppo italiano, ma in cambio (con un evidente accordo Prodi-Zapatero) la spagnola Telefonica ha messo le mani su Telecom e probabilmente Abertis le metterà su Autostrade. Se ne deduce forse un rafforzamento delle posizioni del capitalismo italiano? Non ci pare proprio.
9. Conclusioni
In conclusione resta poco da dire, se non che questa vicenda evidenzia uno stato confusionale quanto mai pericoloso.
I processi disgregativi e degenerativi della sinistra non si combattono con un rinculo identitario fondato su elementi ideologici sganciati dall’analisi della situazione concreta dell’oggi.
Il lavoro di costruzione di un’aggregazione ampia degli antimperialisti ਠevidentemente lungo. Ma non ci spaventiamo e pensiamo che la chiarezza sia l’elemento da cui partire.
per Il Direttivo del Campo Antimperialista
Leonardo Mazzei