19 marzo 2003-19 marzo 2008: il tragico bilancio dei cinque anni di occupazione anglo-americana dell’Iraq
“L’aggressione angloamericana sarà ricordata sui libri di storia come un tornante. In Iraq si decide se la strategia nordamericana di porsi come Impero, ovvero la sola grande potenza mondiale dopo la fine della guerra fredda, sarà coronata da successo o si concluderà in una disfatta. Per simmetria, dentro questa vicenda, ce n’ਠdunque un’altra, quella della Resistenza, della guerra di guerriglia, ovvero di una modalità dello scontro che alcuni, troppo presto, avevano data per morta”.
E’ sotto gli occhi di tutti che l’occupazione dell’Iraq si ਠtrasformata in un gravissimo impasse per la strategia imperiale nordamericana. Contrariamente a quanto affermano Bush e la folta schiera di giornalisti embedded, il paese non solo non conosce alcuna pace, esso resta sotto ogni profilo il luogo più pericoloso e infernale del pianeta.
Gli angloamericani, una volta rovesciato Saddam, hanno davvero sperato che gli iracheni si sarebbero comportati come i giapponesi o i tedeschi dopo il 1945. Nessuna previsione fu più sballata. Si trovarono davanti ad una Resistenza accanita e micidiale, una Resistenza che li costrinse sulla difensiva prima e a cambiare radicalmente approccio poi.
Per dare la misura di cosa sia l’Iraq “pacificato” basta leggere i dispacci che oggi, giorno di Pasqua 2008, quinto anniversario dell’invasione, giungono dall’Iraq. Sentiano:
“A Mosul l’esplosione di un camion-bomba guidato da un kamikaze ha ucciso 10 soldati iracheni e ha ferito altre 30 persone tra cui molti civili in un attentato contro una base militare. (…) Due persone sono morte e 10 sono rimaste ferite da Katyusha fuori bersaglio nei quartieri nordorientali di Baghdad e in quello centrale di Bab-al-Sheikh. (…) La zona verde di Baghdad si ਠsvegliata sotto un martellamento di mortai e razzi in una giornata contraddistinta da attacchi sanguinosi in tutto l’Iraq. Secondo il Comando statunitense, dietro gli attacchi contro la Zona Verde potrebbero esserci gruppi un tempo legati a Moqtada al-Sadr e al suo esercito Mehdi e che si sono dissociati dalla tregua rinnovata dal leader sciita un mese fa”.
Per sapere come vanno le cose in Iraq non si puo’ certo fare affidamento sulla stampa italiana (ammesso che abbia dei veri inviati di guerra e non solo pennivendoli, essa non sborsa i quattrini per assicurarli e proteggerli). Occorre fare ricorso a quella un po’ più seria, non sembri un paradosso, nordamericana ed inglese, molto meno servile verso l’imperatore di quella delle satrapie imperiali come l’Italia.
Sentiamo ad esempio quanto afferma Rageh Omaan su The Guardian del 17 marzo scorso:
“Andare in giro per Baghdad, o parlare con la gente per strada, era già incredibilmente pericoloso. Ora ਠquasi impossibile, a meno di non essere circondati da guardie del corpo armate o di attenersi alla “regola dei 20 minuti” —ovvero di non concedersi più di 20 minuti per uscire da una macchina, parlare con gli iracheni, e poi andarsene. Un po’ di più e quelli che stanno a guardare telefoneranno alle milizie locali per dire che hanno visto degli occidentali per strada…. Adesso ਠfatale venire collegati a qualsiasi cosa di occidentale… Questa paura di venire collegati a qualsiasi cosa di occidentale ha conseguenze terrificanti…. Uno degli aspetti dei pericoli del fare giornalismo in Iraq di cui meno si parla, o che viene ammesso di meno ਠche adesso sono solo le testate più ricche a poterci rimanere. La ragione ਠsemplice, l’assicurazione. I costi del mandare personale a Baghdad e tenercelo sono astronomici: i “consulenti per la sicurezza” occidentali (“mercenari” ਠpiù accurato) ingaggiati dalle testate televisive vengono pagati attorno alle 400-700 sterline al giorno l’uno. Più il giornalista ਠfamoso, più ਠcostoso, e perciಠmeno probabile che a lui o a lei venga consentito di lasciare le basi militari o la Green Zone, a meno che non sia scortato da guardie armate o dall’esercito.”
Infine, denuciando le patetiche sceneggiate dei giornalisti che si collegano da Baghdad fingendo di passeggiare tranquilli per strada conclude:
“Vivere fuori dalla Green Zone – i quasi 13 kmq del centro di Baghdad colonizzati dall’esercito e dalla forze di sicurezza statunitensi – era un punto d’onore per molti giornalisti. Ma la Green Zone ਠarrivata da loro. Tutti i principali uffici di corrispondenza – che sia al-Jazira, la BBC, la CNN, o la ITV – in effetti devono essere compound fortificati, con torrette, muri di cemento anti-esplosione, e controlli di sicurezza. Lo stesso vale per l’Hotel Hamra, utilizzato per lo più dai giornalisti della carta stampata”.
Ascoltiamo adesso quanto scrive Patrick Cockburn nel suo emblematico e crudo reportage da Baghdad (The Indipendent del 16 marzo):
“Cinque anni dopo l’invasione dell’Iraq, il governo statunitense e quello iracheno sostengono che il Paese sta diventando un posto meno pericoloso, ma le misure prese per proteggere il Primo Ministro al-Maliki ci raccontano una storia del tutto diversa. In un primo momento, soldati che brandivano dei fucili hanno sgombrato tutto il traffico dalle strade. Poi, quattro auto nere blindate, ognuna delle quali aveva sul tetto tre uomini armati di mitragliatrice, sono uscite correndo dalla Green Zone attraverso una uscita super fortificata, seguite da Humvee americani color sabbia e altre macchine blindate. Infine, nel mezzo del convoglio che andava a tutta velocità , abbiamo visto sei veicoli identici a prova di proiettile con i vetri oscurati, in uno dei quali doveva esserci Maliki…. Le precauzioni non erano eccessive, dato che Baghdad rimane la città più pericolosa al mondo. Il Primo Ministro iracheno stava andando solo al quartier generale del partito Da’wa, di cui fa parte, e che si trova solo a poco meno di un chilometro fuori dalla Green Zone, ma le centinaia di addetti alla sua sicurezza si comportavano come se stessero entrando in territorio nemico”.
Che la spinta imperiale americana si si impantanata a Baghdad non inficia che la Resistenza irachena sia a sua volta in un impasse. Da un paio di anni lo andiamo dicendo, portando fatti e argomenti. Chi legge assiduamente questo Notiziario sa con quanta precisione abbiamo evidenziato i fattori di debolezza e di crisi della RESISTENZA. Questo impasse non ਠsolo dovuto al diverso e più astuto e flessibile approccio degli occupanti, ma anche a causa di errori strategici compiuti dalle due componenti combattenti più importanti (quella jihadista e quella baathista).
L’errore più grave ਠstato quello di combattere frontalmente la comunità shiita, di considerarla un nemico al pari degli occupanti. Invece di proseguire sulla strada della primavera estate del 2004 (quando le città shiite insorsero a fianco della città martire sunnita di Falluja) la Resistenza sunnita ha imboccato la via dello scontro frontale, via che ha spezzettato il paese, ulteriormente diviso il popolo iracheno, a tutto vantaggio degli occupanti. Petraeus non ha fatto che infilarsi in questo conflitto, esacerbandolo, per porsi poi come arbitro della guerra fratricida. E’ cosଠavvenuto che non solo la Resistenza non ha saputo trasformare la guerriglia in guerra di liberazione nazionale (e quindi costituire un vero e proprio fronte unitario di liberazione), ma si ਠfatta impigliare nella spirale di uno scontro confessionale e comunitario, e questo non poteva che portare all’esito triste, non solo di ulterori divisioni della Resistenza, ma del passaggio di diversi pezzi di essa dalla pare degli occupanti.
Come questo ਠstato possibile? E’ stato possibile a causa della reazione accanita e spesso crudele delle milizie shiite le quali, davanti agli attacchi indiscriminati anzitutto dei jihadisti, hanno scatenato un’offensiva militare all’insegna dell’occhio per occhio dente per dente. Il luogo cruciale di questa battaglia ਠstato Baghdad. Essa ha avuto luogo tra il gennaio 2006 (dopo il tremendo attentato antishiita a Sammarra) e la primavera del 2007. Questa battaglia si ਠconclusa con una cocente sconfitta dei guerrigieri sunniti, che hanno dovuto lasciare il controllo che avevano di vaste aree della città a favore del Mahdi di Moqtada al-Sadr. Ora Baghdad ਠfrantumata in ghetti fortificati, confessionalmente omogenei. Mentre la gran parte dei guerriglieri sunniti, invece di invertire la rotta e tentare una conciliazione in chiave antiamericana con gli shiiti, hanno preferito allearsi con gli americani, in cambio di soldi e armi.
Quanto potrà durare quest’equilibrio di forze non sappiamo. Non a lungo tuttavia. Molto dipende da come gli americani tenteranno di risolvere il dissidio con l’Iran, che sostiene pro domo sua gran parte delle formazioni shiite in Iraq. Un attacco militare all’Iran farebbe precipitare la situazione irachena, trasformerebbe anzi il paese in un decisivo campo di battaglia tra Washington e Tehran. Ciಠcauserebbe un radicale rimescolamento dei fronti e, forse, un riallineamento delle forze in campo, nel senso, ci auguriamo, di una alleanza di tutte le forze antiamericane e antimperialiste.
Certo ਠche occorre una grande svolta affinch੠il popolo iracheno riunisca e raccolga le sue forze per far uscire il paese dal caos totale incui ਠsprofondato, Iraq che oramai ਠdiventato una mera espressione geografica.