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Notiziario del 29 Luglio

6. August 2008
1. FRUSTANDO IL CAVALLO MORTO
Sull’ultimo congresso di Rifondazione Comunista
2. PTSD (Post-Traumatic Stress Disorder)
Afganistan: “Non spari sui civili? Allora sei un disturbato mentale”
3. L’IRAN, AHMADINEJAD E NOI
Si puಠsolidarizzare con l’Iran senza sposare la visione del mondo dei suoi governanti? Si deve!
4. TERZO FRONTE
Il programma degli incontri alla Polvese, 29-31 agosto 2008

1. FRUSTANDO IL CAVALLO MORTO
Sull’ultimo congresso di Rifondazione Comunista

E’ certo un bene che il VII. Congresso del PRC si sia concluso con la momentanea sconfitta dell’ala destra Bertinotti-Vendola. Ci auguriamo che questa “svolta a sinistra” non sia solo di facciata, che aiuti a ricostruire un fronte non solo anticapitalista ma anche antimperialista. Questa svolta ਠil segnale che la maggioranza di questo partito, per quanto eteroclita, ha tuttavia sconfitto la frazione il cui grado di compattezza ਠpari alla sua eteronomia. Non v’ਠinfatti alcun dubbio che dietro al velo delle iperboliche contorsioni semantiche (terreno sul quale Vendola riesce addirittura a superare l’inFausto) si nasconda non solo l’introiezione della controrivoluzione culturale postmoderna, quanto dell’agenda politica e istituzionale bipolare e postdemocratica che da questa consegue. Bastava dare una sbirciata a tutti (tutti!) gli organi di stampa capitalisti per farsi un’idea di chi fossero gli sponsor di Vendola: nessuna testata esclusa tutte hanno esecrato l’elezione di Ferrero.

Che la sgangherata maggioranza che ha eletto Ferrero a segretario possa reggere l’assalto che le verrà  portato dal vasto fronte post-anti-comunista noi, perà², dubitiamo. Non ਠsufficiente un raddrizzamento tattico, ci vorrebbe una radicale svolta strategica, ma questo implica essere profondamente rivoluzionari nell’animo ed il coraggio di liberarsi da una tradizione politica opportunista e incartapecorita. Due qualità  che che i momentanei reggenti sono ben lungi dal possedere.

Tra i concitati momenti del Congresso, uno su tutti ਠinfatti spiccato per la sua emblematicità : quando l’inFausto, brandendo il proprio carisma, ਠsalito sul palco a compiere il suo esorcismo. Ebbene, malgrado l’assenza di ogni autocritica, nonostante lo sfrontata reiterazione del cupio dissolvi, ovvero della richiesta dell’autodisfacimento, egli ਠstato accompagnato da una ossessiva e bipartizan standing ovation che ha dato la misura di quanta carne viva e materia grigia la metastasi bertinottiana abbia divorato nel frattempo e di quanto la maggioranza sia politicamete inconsistente. Per un attimo il guru si ਠilluso che il suo rito gli riconsegnasse il partito, che offrendo ad esso il suo sangue si compisse l’atto conclusivo della trasmutazione. Il miracolo non c’ਠstato. I chierici lo hanno tradito. Ma questo non ਠl’ultimo atto dello psicodramma. Al posto di un partito ora ne abbiamo due. Lo scontro diventerà  fatricidio e porterà  il PRC prima alla paralisi poi allo spappolamento.

Che i chierici, dopo aver per anni osannato alle mirabolanti profezie del vate, sappiano sopravvivere senza di lui ed evitare l’autodissoluzione ne dubitiamo. I chierici evocano una modestissima rinascita, un ritorno a prima del congresso di Venezia. Che in punto di morte Ferrero, Russo Spena e Mantovani facciano ammenda per essere stati tutti culo e camicia con l’inFausto quando con le Tesi di Venezia demolଠanche sul piano formale la tradizione comunista, fa loro onore, ma un ritorno a prima di Venezia ਠsolo un pietoso ritirar fuori dall’armadio un vestito dal rosso appena un po’ meno sbiadito. Il PRC non si impantanಠnel riformismo, ovvero non divenne un partito-protesi del sistema istituzionale imperialistico, tra gli acquitrini lagunari. Il PRC, riformista, ci nacque, e il suo movimentismo bertinottiano era solo un opportunistico e momentaneo camuffamento per raccattare consensi elettorali, proprio al fine di rientrare con più forza nelle stanze dei bottoni. Per questo la maledizione dell’inFausto alla fine si invererà , Rifondazione, dopo il supplizio del 13 aprile, ਠdestinata a tirare le cuoia. Ogni accanimento terapeutico, ogni tentativo di tenerla in vita artificialmente fallirà . E’ come frustare un cavallo morto.

La domanda che ci si deve porre ਠun’altra: cosa prenderà  il suo posto? A contendersi eredità , spoglie e spazio non sono in pochi, dentro e fuori questo partito. Ne vedremo delle belle! Anzitutto l’eredità , che ਠstata il vero oggetto del contendere del VII. Congresso. Se se le son date di santa ragione, se i colpi bassi sono stati numerosi (fino al punto che la fase congressuale pareva una squallida pantomima di quelli correntizi della vecchia DC), non era tanto per nobili ragioni politiche, quanto, appunto, per stabilire a chi spettasero i gioielli di famiglia, ovvero chi dovesse tenersi simbolo, cassa, contributi, sedi, assessorati, e chincaglieria varia.
Ed ਠsempre questa disputa che puಠspiegare il labile spessore programmatico delle cinque mozioni, precipitato addirittura sottoterra a Chianciano Terme.
Alcuni si son quindi incazzati per la parole di Nunzio D’Erme, che ad un cronista avrebbe confessato: “E’ meglio di Vendola, no? Pure se a me non ਠche frega un c… So’ ubriaco e sto qui solo perchà© mi pagano l’albergo”. Invece varrebbe la pena di riflettere su queste parole le quali, apparentemente demenziali e dissacratorie, sono un metro infallibile per misurare fino a che punto di cinismo siano giunti, oltre i riformisti d’ogni parrocchia, le loro appendici antagoniste.
Se scroccare tre giorni di pensione a Chianciano val bene la rottura di coglioni di un congresso, fino a che punto questi potranno arrivare per arraffare voti e tornare prima possibile nelle istituzioni come stampelle e goderne quindi delle prebende?

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2. PTSD (Post-Traumatic Stress Disorder)
Afganistan: “Non spari sui civili? Allora sei un disturbato mentale”

Che il nutrito contingente d’occupazione italiano in Afganistan partecipi da tempo ad azioni di guerra in grande stile, tutti lo sanno, come ha confermato, smentendo il suo predecessore Arturo Parisi, il Ministro della difesa La Russa. Il punto ਠun altro, ਠche non tutti i soldati italiani, evidentemente, si considerano volgari mercenari, mere truppe ascare ubbidienti alle direttive americane. In effetti, in base al mandato delle Nazioni Unite gli italiani dovrebbero attenersi a precise regole d’ingaggio che non prevedono azioni offensive contro la guerriglia afgana, tanto più quando queste azioni sono rappresaglie che rischiano di mietere vittime civili.
Fatto sta che il 10 luglio scorso, dopo che una pattuglia italiana subisce un’imboscata, due elecotteri mangusta si alzano in volo all’inseguimento dei guerriglieri. E’ sera, la visibilità  quasi nulla. Un equipaggio apre il fuoco nonostante il rischio di ammazzare dei civili, l’altro, invece, si rifiuta. I due elicotteristi spiegano di non avere sparato, appunto, per non fare vittime innocenti. Avrebbero quindi rispettato, almeno un po’, il mandato con cui sono stati inviati in questo martoriato paese.
Il comando italiano di stanza ad Herat smentisce questa versione, liquida l’evento come un fatto clinico, ovvero, prima ricovera in infermeria i due elicotteristi poi decide addirittura di rimpatriarli per farli curare al Celio. Malati di che? Affetti dalla PTSD, ovvero della cosiddetta Sindrome post-traumatica da stress. Ovviamente nessuno ha creduto al Comando italiano il quale, facendo passare gli ufficiali per disturbati, non ha fatto che copiare i comandi militari americani. Questi ultimi, infatti, si sono trovati alla prese, sia in Afganistan che in Iraq, con innumerevoli gesti di disobbedienza, tutti o quasi fatti passare, appunto, come casi della misteriosa PTSD. La verità  à¨ che il Comando italiano, spingendo le proprie truppe a partecipare a missioni di guerra, straccia il proprio mandato ISAF, per aderire invece a quello unilaterale nordamericano di Enduring Freedom. Quello dei due soldati italiani disobbedienti ਠinfine una spia del malumore che serpeggia tra le truppe d’occupazione. La Resistenza antimperialista in Afganistan ha fatto passi da gigante negli ultimi anni, riuscendo a colpire ben al di là  delle zone considerate dagli occupanti a rischio. Proprio secondo i recentissimi dati forniti dai comandi dell’ISAF solo nell’ultima settimana di giugno ci sono stati ben 218 “episodi cinetici”, ovvero attacchi della guerriglia.

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3. L’IRAN, AHMADINEJAD E NOI
Si puಠsolidarizzare con l’Iran senza sposare la visione del mondo dei suoi governanti? Si deve!

Sembra scontato, ma cosଠnon à¨, che si possa sostenere la lotta di un popolo e/o di una paese aggrediti senza necessariamente condividere, o anzi criticare, la politica di chi si trovi a guidare quella lotta e/o governare quel paese. La nostra difesa dell’Iraq baathista contro l’aggressione imperialista ਠstata incondizionata, non per questo abbiamo sostenuto il regime di Saddam Hussein o condiviso le sue scelte di fondo. Per quanto criticabile tuttavia, il regime ha respinto come ha potuto i molteplici tentativi imperialistici di annichilimento. Questo fattore, quello di resistere al più temibile e ignobile impero d’ogni tempo, ਠstato il fattore determinante, ovvero di per se stesso sufficiente, per stare dalla parte dell’Iraq. Del resto abbiamo sostenuto e sosteniamo senza esitazione le Resistenze irachena, libanese, afgana o palestinese, senza necessariamente condividere ogni singolo atto politico o militare di queste medesime Resistenze.

Ciononostante abbiamo subito una doppia campagna di ostracismo: da una parte gli Stati imperialisti, che ci hanno bollato come “fiancheggiatori del terrorismo”, dall’altra gli antagonisti libertari e i comunisti-con-la-puzza-sotto-il-naso che ci hanno accusato di aver abbracciato “l’islamo-fascismo”.

Le stesse accuse ci giungono adesso, davanti all’eventualità  di un’aggressione israelo-americana all’Iran. Il fatto di promuovere un presidio di solidarietà  con la Repubblica Islamica dell’Iran proprio sotto l’ambasciata di questo paese a Roma, ha dato fiato alle solite trombette. L’accusa ਠperentoria: “Voi offrite un vergognoso appoggio al governo di Ahmadinejad!”. In effetti ਠvero, noi appoggiamo la decisione di Ahmadinejad di respingere il tentativo imperialista di aggressione, cosଠcome sosteniamo la decisione di resistere con ogni mezzo in caso di attacco. Il nostro appoggio, per quanto fermissimo, inizia e finisce qui. E non sta nà© in cielo nà© in terra che siccome siamo dalla sua parte nell’eventualità  di uno scontro bellico con Israele e Stati Uniti, allora, ipso facto, diventeremmo suoi seguaci.

Ci divide da Ahmadinejad, come del resto ci divise dall’Ayatollà¢h Khomeyni, la concezione del mondo, ovvero la dottrina del “Velayat-e faqih” (Governo del Giurisperito islamico). Secondo questa dottrina la sovranità  politica non spetta al popolo bensଠagli ulamà¢, agli esperti della legge islamica, in quanto successori dei profeti. Ci divide da essi il principio per cui l’unico sovrano, l’autorità  politica suprema, sia Dio e che la legge islamica (Sharà®’a), sia sacra e intangibile. Ci divide insomma il principio dello Stato islamico il quale, per quanto si autodefinisca Repubblica, consegna la piena supremazia ad un Consiglio di esperti religiosi con poteri di veto assoluti e insindacabili e in cima ai quale c’ਠuna Grande Guida (oggi Khamenei) che per costituzione ਠinfallibile (come il Papa) e ha l’ultima parola su tutto. Ci divide infine da Ahmadinejad, come dalle correnti islamiche salafite conservatrici, l’idea che la democrazia come il socialismo siano entrambi “sataniche fabbricazioni” dell’Occidente, ovvero che l’Islam sia incompatibile con la prima e col secondo.

Significa questo che siamo anti-islamici? Neanche per sogno! Non lo siamo per tre ragioni. La prima ਠche non ci appartiene l’ateismo militante. Non si tratta solo di laicistico rispetto per i credenti, si tratta del fatto che l’Islam, come del resto il cristianesimo incarnano l’anelito umano alla perfezione morale quindi la perenne lotta contro l’ingiustizia e le diseguaglianze sociali. La seconda ਠche l’Islam radicale ਠoggi un fattore di primaria importanza nella battaglia per liberare i popoli oppressi dal giogo dell’imperialismo. La terza, non meno importante, ਠche non c’ਠsolo l’Islam cosiddetto “fondamentalista”. L’Islam ਠinfatti stato attraversato, nel corso della sua storia, da correnti ugualitarie se non proprio proto-comuniste, che non solo hanno combattuto dal basso contro quelle conservatrici (legate a doppio filo con gli oppressori del tempo) ma hanno lasciato un segno profondo nelle comunità  musulmane, impregnando anche alcune delle Resistenze islamiche contemporanee (la Jihad palestinese, Hezbollah libanese, il Mahdi iracheno).
Di questo Islam egualitario, che ha sempre cercato non solo ci combattere le pulsioni imperialistiche dell’Occidente ma di recepire ciಠche di giusto e rivoluzionario esso ha prodotto, noi ci consideriamo non solo alleati, bensଠfratelli, ovvero compagni di viaggio nel lungo cammino per liberare l’umanità  dall’oppressione e dallo sfruttamento.

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4. TERZO FRONTE
Il programma degli incontri con gli antimperialisti occidentali

TERZO FRONTE
COME SI FA L’ANTIMPERIALISMO IN OCCIDENTE

ISOLA POLVESE, LAGO TRASIMENO (PG) 29-31 AGOSTO 2008

Chi volesse partecipare ਠinvitato a contattarci a questo indirizzo: campo-isolapolvese@libero.it o telefonare a Maria Grazia: 328.4320501
Il costo giornaliero cadauno ਠdi 40 € (posto letto, colazione e due pasti)

Giovedଠ28 agosto, pomeriggio
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ARRIVI E SISTEMAZIONI

Venerdଠ29 agosto
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Prima sessione, ore 9.00

Grecia: AUTONOMIA E UNITA’
Gli antimperialisti, la solidarietà  con le Resistenze e il Social Forum

Seconda sessione, ore 15,00

Gran Bretagna: UN CASO ESEMPLARE
Come la sinistra antimperialista ha costruito l’unione con le comunità  islamiche e degli immigrati

Sabato 30 agosto
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Terza sessione, ore 9,00

Stati Uniti d’America: DOPO l’11 SETTEMBRE
Gli antimperialisti sotto il tallone del bushismo

Quarta Sessione, ore 15,00

Israele: VIETATO ESISTERE
La lotta degli antimperialisti dall’Intifada alla sconfitta israeliana in Libano

Quinta sessione, ore 22,00

SUMUD
Teoria e pratica del “volontariato antimperialista”

Domenica 31 agosto
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Sesta sessione, ore 9,00

L’ANTAGONISMO ZOPPO
Gli antimperialisti italiani: teorie e pratiche a confronto

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