(Tesi sul Venezuela)
2. Per la prima volta dopo decenni, in un paese decisivo per gli equilibri geopolitici del continente, saliva al potere un leader che si dichiarava radicalmente ostile non solo all’imperialismo, quello USA in particolare, ma anche al marcio sistema oligarchico e bipartitico venezuelano, espressione di un capitalismo dipendente e corrotto. Quello di Chavez non era quindi solo un antimperialismo di facciata. A chi lo condannava come un militare demagogo e un politico populista, egli rispose infatti indicando come necessario non solo lo sganciamento dalla morsa neocolonialista, ma l’edificazione di un sistema sociale che riscattasse i poveri delle città e delle campagne dallo stato si servile sfruttamento e di emarginazione sociale in cui erano confinati. Le ripetute vittorie elettorali mostrarono senza ombra di dubbio che Chavez non era una meteora e che l’enorme consenso che egli aveva ottenuto in seno agli strati sociali oppressi era destinato a consolidarsi.
3. L’oligarchia capitalista venezuelana, inizialmente spiazzata dalla folgorante marcia di Chavez, una volta compreso che era davanti ad un fenomeno di lunga durata, con il deciso appoggio di Whashington, commise un fatale errore, tentಠdi riprendersi il potere con il Golpe dell’aprile 2002. I golpisti vennero infatti travolti da una grande e combattiva mobilitazione popolare e furono obbligati a compiere una fulminea e umiliante ritirata. Col suo atto di forza l’oligarchia aveva precipitato il paese sull’orlo della guerra civile, una guerra il cui esito, malgrado l’appoggio nordamericano, poteva sfociare in una disfatta strategica.
4. Ma era solo una ritirata tattica. Dopo pochi mesi il variopinto fronte reazionario riprovಠa cacciare Chavez con un insidioso sabotaggio petrolifero che mise il paese in ginocchio. Questo fronte perse anche questa seconda volta, ma cadde in piedi. Esso mostrಠdi possedere enormi risorse nonchà© stabili basi sociali, un consenso non solo nelle à©lite colte e nella gerarchia ecclesiastica, non solo nella burocrazia statale e nella piccola borghesia commerciale, ma pure in settori della classe operaia sindacalizzata e tradizionalmente corporativa.
5. In un contesto ormai definitivamente polarizzato tra chavisti e antichavisti, l’oligarchia tentಠil terzo assalto a Miraflores. Questa volta sfindando il Presidente sul terreno elettorale, promuovendo un “referendum revocatorio” allo scopo di cacciarlo dal potere. Esso si svolse nell’agosto 2004. Con una percentuale di votanti altissima e senza precedenti (il 70%), votarono col MVR e per Chavez il 60% dei cittadini. Un successo enorme. Tanto più significativo visto l’appoggio sfrontato che USA e UE diedero al blocco anti-chavista e di quello della gran parte dei mezzi di comunicazione di massa, interni e internazionali.
6. Questa clamorosa vittoria politica, ottenuta su un terreno tradizionalmente favorevole alle forze reazionarie —quello elettorale e plebiscitario, che in quanto fondato sulla delega passiva dei cittadini accentua la forza egemonica e corruttrice dei notabili politici e della classe dominante—, mentre scompaginಠla coalizione anti-chavista produsse nel campo opposto una “vertigine del successo”, l’illusione dell’imbattibilità , la errata convinzione che si sarebbe potuti procedere sulla via di radicali trasformazioni sociali senza fare ricorso alla rottura rivoluzionaria, passando per una serie successi e legittimazioni elettorali.
7. La vittoria dell’agosto 2004 spinse comunque il governo e il blocco chavisti a procedere più speditamente sulla via della cosiddetta “Rivoluzione Bolivariana”. Oltre ad una politica estera che malgrado i suoi limiti era sostanzialmente antimperialista, il governo propose e stimolಠprofonde trasformazioni della struttura sociale del paese. Non si trattava soltanto di approntare radicali riforme della struttura sociale (la redistribuzione della ricchezza nazionale per emancipare gli oppressi dallo stato di miseria ed emarginazione sociali), ma pure di profondi mutamenti degli assetti istituzionali affinchà© gli ultimi diventassero i primi, affinchà© il potere politico e amministrativo cessasse di essere una prerogativa della nomenklatura burocratico-notabilare (in larga parte fedele alla vecchia oligarchia) e passasse in mano alle organizzazioni popolari di base.
8. Come Campo Antimperialista abbiamo sostenuto pienamente questo processo di trasformazione sociale e istituzionale, come tutte le riforme volute e rese esecutive dal governo chavista. Non abbiamo condannato a priori (e non lo facciamo oggi) alla direzione venezuelana il tentativo (più pragmatico che dettato da ragioni teoriche) di passare al socialismo attraverso una serie graduata di riforme rivoluzionarie. Abbiamo anzi apprezzato il tentativo di sperimentare un’avanzata verso il socialismo senza infrangere le regole democratiche, evitando ove possibile lo scontro armato. Sappiamo che nessuna misura sociale o politica, per quanto sacrosanta, puಠessere duratura senza una solida egemonia, senza il più ampio consenso popolare. Abbiamo perಠmesso in guardia quanto rischioso fosse sfidare le costanti e le “leggi” della storia; che essa procede per salti e strappi violenti; che la quantità ਠdestinata a trasformarsi in qualità ; che ad un certo punto del processo di trasformazione la rottura sarebbe diventata inevitabile; che nessun atto di fede verso la democrazia da parte della rivoluzione avrebbe potuto mai convincere l’oligarchia a togliersi di mezzo (vedi la catastrofe cilena del 1973).
9. Come ਠvero che non c’ਠsocialismo senza egemonia e consenso, altrettanto lo ਠche nessun passaggio definitivo al socialismo ਠpossibile senza rottura rivoluzionaria. Dalla colossale esperienza compiuta nel ‘900 abbiamo compreso che il socialismo puಠessere edificato solo se uguaglianza sociale e libertà individuale camminano assieme; ma abbiamo altresଠcapito che ogni tentativo di spezzare la coppia egemonia-rottura, di staccare il lato del consenso da quello dell’uso della forza, per quanto animato dalle più pie intenzioni, non puಠche condurre alla vittoria della controrivoluzione armata. La stessa borghesia ha dato lezioni magistrali (spesso pagate a carissimo prezzo dalle forze rivoluzionarie) di come, a seconda delle circostanze, si possa e si debba passare dalla prevalenza del momento del consenso a quello della forza, dalla democrazia parlamentare alla dittatura. Ovvero di come l’egemonia possa essere ottenuta non solo col consenso democratico ma pure ricorrendo alla violenza più implacabile. Non c’ਠcontraddizione tra il primo momento e l’altro, ma complementarietà . Una rivoluzione disarmata ਠdestinata ad essere perdente. Chi non mostra la fermezza di chi vuole vincere davvero senza paura di ricorrere all’uso della forza, non otterrà mai una duratura egemonia, non convincerà mai gli oppressi a condurre una lotta che chiede il tutto per tutto, la vita o la morte. La decisione di rispettare le regole democratiche da parte della rivoluzione ha un limite invalicabile, questo limite viene implacabilmente tracciato dalla controrivoluzione, che non esita, come abbiamo visto anche in Venezuela col golpe del 2002, a passare dall’opposizione legale al sabotaggio, e infine alle cannonate.
10. E’ un errore misurare l’egemonia anzitutto con il metro delle elezioni e dei plebisciti. Questo ਠun lascito della borghesia, che ha si bisogno del consenso delle masse per sorreggere la propria supremazia “democratica” ma, appunto, un consenso delegato, passivo, amorfo. Il grande Tallone d’Achille della “rivoluzione bolivariana” ਠche quest’ultima ਠrestata prigioniera dei suoi successi elettorali, vittima dell’idea che la rivoluzione sociale possa bypassare la rottura tra le masse povere organizzate e le classi dominanti. La Rivoluzione chiede che l’egemonia, per essere solida, si fondi sulla partecipazione attiva e massiccia delle masse alla lotta politica. La rivoluzione ਠquel processo di eversivo “distruzione creativa” per cui il vecchio apparato statale, fondato sulla separazione tra eletti ed elettori, tra servi e padroni, viene mandato gambe all’aria e al suo posto ne sorge uno nuovo, basato sulla democrazia diretta e sull’autoattività popolare. Che i sistemi sociali postrivoluzionari del ‘900 abbiano fatto fiasco non invalida questa regola universale, cosଠcome sbaglia che ritiene che questi sistemi abbiano fallito per un vizio d’origine, proprio perchà© partoriti da autentiche rivoluzioni proletarie e contadine. Un simile giudizio ਠinfatti tipico della scuola di pensiero liberale e di quella, di essa sodale, socialdemocratica.
11. L’idea che gli oppressi venezuelani avrebbero potuto prendere in mano le redini dello Stato cacciando con un calcio elettorale dopo l’altro la tradizionale casta notabilare si ਠrivelato un errore. Non ci si libera da un tumore maligno con cure omeopatiche, ma solo estirpandolo prima che la metastasi soffochi le forze rivoluzionarie. Non si demolisce il vecchio apparato statale, non si supera la tradizionale separatezza tra eletti ed elettori, tra servi e padroni, con le urne o con qualche sfilata, per quanto oceanica, quanto invece con la costruzione di un potere nuovo, dal basso, fondato su organismi di potere che incarnino il protagonismo militante degli esclusi. Non basta. Questa partecipazione puಠdissolversi nell’aria come vapore se non ਠincanalata, disciplinata, fiancheggiata da una potente organizzazione rivoluzionaria dotata di militanti e quadri sperimentati che una volta conquistato il potere sappiano amministrarlo. Non va dimenticato infine che la spinta sovversiva dal basso, se ਠnecessaria per ogni cambiamento rivoluzionario, non ਠsufficiente a fondare e stabilizzare nuove e rivoluzionarie istituzioni politico-statali. E’ illusorio sperare che gli oppressi, che la rivoluzione mobilita e trascina nell’agone, anzitutto in paesi come il Venezuela segnati dal caudillismo, dalla sudditanza secolare ai notabili e agli oligarchi, siano improvvisamente in grado di esercitare collettivamente e orizzontalmente il potere, senza cioਠaffidarsi a quadri politici adeguati e sperimentati.
12. La giovanissima “rivoluzione bolivariana” si ਠvenuta quindi a trovare in una situazione difficilissima: non avendo avuto il tempo di selezionare un corpo di amministratori, di responsabili politici, di dirigenti statali e locali fedeli alle direttive del governo chavista, ha finito per appoggiarsi alla tradizionale nomenklatura burocratico-amministrativa, la quale non si ਠlimitata a frenare le trasformazioni, addirittura ha agito per sabotarle, pregiudicando il successo delle riforme medesime.
13. La conferma l’abbiamo purtroppo avuta con la sconfitta nel referendum del dicembre 2007. Pur non avendo una portata strategica essa ਠstata tuttavia cocente. Prima la “rivoluzione bolivariana” trae da essa le necessarie lezioni, meglio à¨. Alcuni critici di estrema sinistra affermano che la responsabilità di questa sconfitta ricade sulle spalle di Chavez che non ha voluto spezzare queste resistenze reazionarie. Non ਠcosà¬. Chavez, e con lui le forze dirigenti più intransigenti, hanno tentato in ogni maniera di superare gli ostacoli, nonchà© di suscitare la partecipazione delle masse. Anche in maniere discutibili, purtuttavia ci hanno provato. Essi hanno scoperto che l’opposizione si annidava nelle stesse file del blocco bolivariano, in correnti e tendenze che non intendono affatto proseguire sulla strada della “rivoluzione bolivariana” (come il partito PODEMOS, che ha contestato le misure sociali più audaci e ha chiamato a votare NO). Ma i guai non sono venuti solo da questo dissidio (che ha indebolito non poco il governo). Il tentativo fortemente perseguito da Chavez di costruire un partito unico socialista e bolivariano, il PSUV, (costruzione che ਠcoincisa con la campagna referendaria) ha anch’esso incontrato notevoli ostacoli. Il rifiuto del Partito Comunista e di Patria para Todos di confluire nel nuovo partito ha cristalizzato infatti le divisioni e indebolito la stessa campagna per il SI al referendum.
14. La vittoria di stretta misura del NO, ovvero del fronte reazionario, ha tuttavia anche altre ragioni. Il crollo di voti rispetto al 2004, la nettissima caduta della percentuale dei votanti anche nelle aree urbane più degradate roccaforti del chavismo, attestano una caduta della fiducia e del consenso verso il presidente da parte di ampi settori sociali. Essi sono delusi poichà© la “rivoluzione bolivariana” non ha ancora portato i suoi frutti, e questa diserzione attesta quanto fragile e precario sia il consenso fondato su base elettorale, affidato cioਠa sentimenti e umori per loro natura estremamente volatili e passeggeri.
15. Il secondo tallone d’Achille del processo rivoluzionario venezuelano consiste nell’assenza di adeguate e bilaterali cinghie di trasmissione tra la direzione politica e la sua base. Non condividiamo il giudizio di chi considera Chavez come un mero erede, solo più radicale, del caudillismo e del peronismo. Questa analisi ਠsmentita dai reiterati e sinceri tentativi chavisti di suscitare dall’alto la partecipazione popolare, di far entrare gli oppressi nelle stanze del potere. Il rapporto tra il vertice e la base fondato anzitutto sul carisma del leader si ਠrivelato alla fine un peso e non un vantaggio. Le origini di questa grave stortura sono di natura storica, sociale e culturale, non si superano solo in virtù di slanci soggettivistici, nà© tantomeno con provvedimenti amministrativi, ma con un lungo processo di maturazione e coscientizzazione politica degli oppressi.
16. L’ultimo ma non meno importante Tallone d’Achille del sistema bolivariano ਠche esso non ha ancora saputo demolire il sistema istituzionale presidenzialistico e bonapartistico, lascito velenoso del putrido sistema oligarchico bi-partitico fotocopiato dal regime nordamericano. La prova ਠche dei 36 farraginosi articoli sottoposti a referendum, non solo non c’e n’era nessuno che contemplasse la soppressione del presidenzialismo. Al contrario, la riforma costituzionale sottoposta a Referendum, giusta per quanto concerne le misure sociali ispirate ai principi di giustizia e di solidarietà , avrebbe rafforzato le prerogative e i poteri presidenziali d’interdizione ed esecutivi. La decisione di ampliare i poteri del Presidente (e di allungare la durata del mandato), pretendeva di essere la cura dei mali che abbiamo segnalato, noi pensiamo che avrebbe invece finito per aggravarli. Vero ਠche la Riforma costituzionale bocciata col Referendum conteneva solide proposte istituzionali e normative a favore dell’autoamministrazione territoriale pensate per trasferire ampi poteri alle comunità locali e di base, ciಠproprio allo scopo di spingere i cittadini a prendere in mano la macchina politica e amministrativa. Avrebbe potuto funzionare un simile meccanismo? Noi pensiamo che non si possa mischiare il diavolo con l’acqua santa. Un sistema istituzionale con un presidenzialismo potenziato e istituti di democrazia diretta ਠdestinato alla paralisi ogni qualvolta non vi siano una corrispondenza e un equilibrio perfetti tra le parti. Il tentativo ha fornito il destro alle accuse demagogiche di populismo e autoritarismo, ha dato una certa legittimità ai reazionari che ridicolizzano il “socialismo del XXI. secolo.
17. Malgrado i limiti del processo bolivariano e gli errori della sua direzione, il Campo Antimperialista, pur nella modestia delle sue forze, continuerà a sostenerlo, confidando che esso non solo potrà riprendere il suo cammino ma saprà fare tesoro degli errori compiuti. Ogni cedimento, ogni indebolimento nella solidarietà internazionale alla “rivoluzione bolivariana”, rappresenterebbe un crimine, perchà© costituirebbe un avallo al disegno imperialistico nordamericano ed europeo che si stanno attrezzando per dargli il colpo definitivo. Lo scontro decisivo non lo abbiamo alle porte ma davanti.
Comitato Politico internazionale del Campo Antimperialista
Vienna, Febbraio 2008