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Preoccupazioni afgane

16. February 2009

di Maria Grazia Ardizzone
A partire dallo scorso autunno, anche in vista del
cambio della guardia alla casa Bianca, si sono intensificate le
preoccupazioni imperialistiche per la mancata normalizzazione
dell’Afghanistan. Da due anni a questa parte infatti la Resistenza
afgana e soprattutto la sua principale componente, cioਠi talebani, ha
progressivamente ripreso il controllo almeno di metà  del territorio del
paese. Alla faccia dei roboanti proclami di vittoria che seguirono,
alla fine del 2001, l’invasione del paese da parte di Enduring freedom, la caduta del governo “dei mullah” e la successiva occupazione in combutta con la NATO, che guida la più ampia missione ISAF.

I recentissimi attacchi portati nel cuore politico –
amministrativo di Kabul proprio alla vigilia dell’arrivo di Richard
Holbrooke, inviato speciale di Obama, confermano gli allarmi che a più
riprese sono stati lanciati da qualificatissimi esponenti della
diplomazia anglosassone e delle più alte gerarchie militari (“Afghanistan, non vinceremo“; “Stiamo perdendo l’Afghanistan“).

 

Non
ci sono dubbi, la Resistenza ha fatto il suo lavoro, non solo militare
ma anche politico: ਠinfatti molto significativo che ormai capi di
stato e di governo, diplomazie, vertici militari e media non parlano
più di “terroristi” ma di “insorti“. Altrettanto
significativo ਠche ormai tutti, Stati Uniti compresi che pur si stanno
preparando ad un massiccio incremento della presenza militare, stiano
cercando una soluzione politica, anche a costo di trattare con quelli
che fino a poco tempo fa venivano bollati appunto come terroristi, o
almeno con quelle componenti che si ritiene siano recuperabili per un
compromesso dignitoso. Solo Berlusconi sembra non rendersene conto,
garantendo al nuovo inquilino della Casa Bianca altri 800 soldati: in
altri paesi europei un maggiore impegno resta subordinato alla
definizione di una strategia più politica che militare. Il modello ਠla
strategia seguita in Iraq, dove una parte della componente sunnita
della Resistenza ਠstata coinvolta nella direzione politico –
amministrativa del paese in chiave anti qaedista. Non che in Iraq tutto
fili liscio: l’approvazione parlamentare dell’accordo per la permanenza
delle truppe USA (SOFA) ਠavvenuta con una maggioranza risicata
suscitando molte proteste nel paese e i risultati delle elezioni
provinciali del 31 gennaio dimostrano che le forze politiche più
smaccatamente filo occidentali non riescono a conseguire un’egemonia
che dia garanzie di stabilità  almeno a medio termine. Comunque per il
momento la situazione ਠstata tamponata.

 

In
Afghanistan perಠla situazione ਠdiversa perch੠i talebani, pur non
costituendo una forza politica unitaria e centralizzata, e più in
generale la Resistenza, tengono duro su un punto: ogni compromesso con
l’ormai traballante governo Karzai resta subordinato al ritiro delle forze di occupazione.
A poco servono le promesse di investire risorse massicce per la
ricostruzione del paese; a poco serve scaricare tutte le responsabilità 
sull’inettitudine e sulla corruzione del governo Karzai. Inetto per il
semplice fatto che tutti sanno che ਠun governo fantoccio guidato da
uno che ਠstato reimportato in Afghanistan (con tutto il suo
guardaroba) dagli americani; corrotto perchà© solo la corruzione gli
consente di ammantarsi di un’apparenza di consenso.

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