Con la Resistenza popolare fino alla sua vittoria
Nessuna persona intellettualmente onesta ha mai creduto alle ragioni con cui gli Stati Uniti motivarono l’invasione dell’Afghanistan. Subito dopo l’11 settembre, quando Bush pose l’ultimatum alle autorità afghane di consegnare Bin Laden pena l’aggressione su vasta scala, i suoi servizi d’intelligence lo avevano già informato che il presunto leader di al-Qaida aveva trovato rifugio in Pakistan. Del resto il governo di Kabul si era dichiarato disposto ad espellere i seguaci di al-Qaeda ed eventualmente di consegnare Bin Laden ad un paese neutrale, in attesa che gli Stati Uniti provassero le loro accuse e affinché fosse assicurato agli accusati il diritto di difendersi.
Bush non volle sentire ragioni. La sua colossale macchina bellica era già da tempo preparata ad invadere quel paese, la cui disgrazia è quella di essere il centro nevralgico dell’Asia centrale, il cui controllo è indispensabile agli USA non solo per avere voce in capitolo sulle autostrade del gas, ma per tenere sotto tiro non solo l’Iran, ma tenere in scacco le potenze regionali come la Russia, l’India e la Cina.
Quella americana era quindi la più classica delle aggressioni colonialiste e imperialiste. Non appena conquistata Kabul, Bush mise al potere il suo fantoccio Karzai e, mettendosi sotto i piedi le Nazioni Unite, le obbligò a dare una parvenza di legittimità alla propria aggressione, facendola passare per “missione di pace”. Era solo l’inizio della commedia. Una volta imbellettata l’occupazione come pacifica e accreditato il governo fantoccio come “democratico” Bush, ancora una volta con l’imprimatur dell’ONU, doveva trascinare nell’abisso i suoi alleati europei della NATO chiamandoli a dare manforte ai mercenari a stelle e strisce e a proteggere Karzai. La patetica giustificazione questa volta era che occorresse “stabilizzare il processo democratico in atto”.
Sotto la stella della più sfrontata ipocrisia nacque quindi il corpo europeo di spedizione ISAF e al quale subito il governo italiano aderì.
Di quale “lotta al terrorismo”, di quali “pacificazione” e “stabilizzazione” si trattasse si incaricheranno i fatti di dimostrarlo. E i fatti, ovvero la tenace Resistenza del popolo afghano, non hanno soltanto clamorosamente sbugiardato gli occupanti, svelando le recondite ragioni per cui la santa alleanza imperialista ha occupato l’Afghanistan. Infliggendogli colpi durissimi, accrescendo il suo sostegno in mezzo al popolo, riuscendo a controllare la maggior parte del territorio, questa indomita Resistenza ha obbligato gli occupanti a gettare la maschera, ad ammettere che essi stanno conducendo una guerra senza esclusione di colpi, che mette in gioco, oramai, non solo il futuro dell’Afghanistan, ma la stessa coesione e sopravvivenza della NATO, il prestigio degli USA e il loro indiscusso predomino mondiale.
E’ stata quindi la tracotanza imperialista degli Stati Uniti e la decisione dell’Unione Europea di subirla supinamente a mettere gli occupanti nel vicolo cieco, a spingerli a condurre la guerra senza esclusione di colpi, con metodi nazisti di sterminio, radendo al suolo interi villaggi, massacrando civili inermi, bombardando indiscriminatamente, trattando i resistenti come terroristi, non riconoscendo loro lo status di combattenti, chiudendo chiunque fosse sospettato di sostenerli in carceri putrescenti e campi di concentramento dove la tortura è una prassi ordinaria.
Che la legittima Resistenza del popolo afghano (eroica se si pensa alle condizioni in cui combatte e alla inferiorità di mezzi di cui può disporre) sia condannata come “terrorismo” è la più infame delle mistificazioni. Come va smentito l’insidioso stratagemma di far credere alla distratta opinione pubblica occidentale che la Resistenza sia solo talebana. E’ tutto un popolo invece, strutturato attorno alle proprie tradizionali forme di rappresentanza e di autogoverno, che si oppone all’occupazione, che sostiene i combattenti, che rivendica il proprio diritto all’autodeterminazione.
Nel momento in cui altri mercenari italiani hanno pagato con la vita la decisione di politicanti screditati di ubbidire come satrapi al comando imperiale, uno sciame di generali e di preti, di pennivendoli e di spie, abusando cinicamente degli spompati sentimenti dell’opinione pubblica, si è messo a suonare le sfiatate trombette dell’unità nazionale. Questa marmaglia di servi venduti all’impero americano, succube degli interessi di un capitalismo multinazionale brigantesco e rapace, ha la faccia tosta di fare appello al “patriottismo”.
Ma qui il patriottismo sta da una parte sola, quella del popolo afghano e della sua Resistenza. Piaccia o non piaccia i soldati italiani inviati in Afghanistan non solo sono in guerra, ma conducono da gregari una guerra ingiusta di occupazione neocoloniale. Essi vanno quindi riportati a casa assieme a tutti gli altri, lasciando il popolo afghano decidere come meglio crede il proprio destino.
Il patriottismo, se è un titolo di merito, lo è per quel popolo che assieme al suo proprio, difende il diritto all’autodeterminazione di ogni altro, e che quindi non solo ripudia ogni aggressione imperialista, ma riconosce come sacrosanto e tutela il diritto dell’aggredito a resistere e ad usare ogni mezzo che ha a disposizione per difendere la propria indipendenza e la propria dignità.